venerdì 28 dicembre 2012

Vecchi/Nuovi classici: Erica e i suoi fratelli di Elio Vittorini (1936), una fiaba di lacrime e di sangue



Erica e i suoi fratelli, non è un racconto facilmente reperibile in libreria.

In una storia come questa, scritta da Elio Vittorini nel 1936, e rimasta incompiuta, ci si imbatte per puro caso, come appunto è capitato a me, che in una pigra mattina d’autunno, non avendo voglia di fare granchè, ho incrociato con sguardo sornione un libricino un po’ ammuffito della Einaudi risalente ai primi anni Ottanta in cui, oltre a Erica e i suoi fratelli è possibile leggere anche un breve romanzo di Vittorini, intitolato  La garibaldina…

Considerando lo scarso volume di pagine della storiella di Erica ( poco più di sessanta… e del resto, le piccole storie scritte da grandi autori promettono di darti tanto, seppur in un tempo di lettura relativamente breve…), ho cominciato a leggerla… (Se l’avventurato lettore di questa recensione, incuriosito da quanto dirò, fosse anch’egli tentato di leggere questo racconto, ma nello stesso tempo scoraggiato dalla difficoltà di trovarlo, avverto subito che è molto semplice reperirlo nelle librerie, fisiche e virtuali, che trattano la vendita di libri vecchi e usati o, ancora più agevolmente, nel primo dei due tomi dei Meridiani Mondadori in cui sono pubblicate le opere narrative dell’autore siracusano…)

Quella di Erica è una fiaba nera, di quelle cattive che bruciano il cuore e lasciano una cicatrice profonda e insanabile. Erica è una bambina che cresce insieme a i suoi due fratellini in una famiglia poverissima: come tutte le bambine Erica crede nelle fiabe, e la povertà per lei significa pericolo di essere abbandonata dai suoi genitori, dai quali si guarda infatti come se fossero due nemici, in un bosco, insieme ai suoi fratelli.

Crescendo la ragazzina crede di ravvedersi e comincia a capire che le sue sono solo fantasie fanciullesche; tuttavia la freddezza di sua madre, sempre impegnata a racimolare qualche soldo in più per sfamare la famiglia dal momento che il padre vede scemare la sua paga mese dopo mese, e il definitivo licenziamento di quest’ultimo, la costringono a ripiombare nella sua paura nutrita dalle fiabe.

Non si inganna Erica, quattordicenne assennata, la sua è proprio una fiaba, il papà se ne deve andare per cercare un nuovo lavoro, e la madre…come sarebbe contenta se quei tre figli non ci fossero! Come vorrebbe raggiungere il marito lontano! E una mattina di novembre la madre se ne va. Lascia la casa e le provviste (buone per viverci qualche settimana) in mano a Erica, la figlia matura che crede ancora nelle fiabe, e che ama e accudisce la sua povera casetta come fosse una sorellina minore. Ma Erica è solo una bambina e non capisce che i vicini di casa possono approfittarsi della sua ingenuità. Così, la moglie del ferroviere si prende la sua gallina, e qualcun altro le ruba la farina e il carbone. Ed Erica non sa difendersi.

Ma una quattordicenne è davvero ancora una bambina? O il suo atteggiamento rivela in realtà un’inettitudine agghiacciante, propria di chi è fisiologicamente incapace alla vita perché la natura non gli ha fornito le armi per difendersi? Erica non è furba, si perde nei sogni e si chiude in se stessa, non capisce l’importanza del lavoro, ne conosce solo la crudeltà e l’ingiustizia, perché il lavoro le ha portato via il papà e la mamma. E se il lavoro deve essere sinonimo di crudeltà , la ragazzina non può accettare di far la serva alle signore impietosite che la prenderebbero in casa per aiutarla ripagandola con pochi spiccioli. sceglierà piuttosto un mestiere cattivo per sfamare se stessa e i suoi fratelli: si legherà un nastro rosso ai capelli e nel tardo pomeriggio, mentre loro giocano lontani da casa, si affaccerà alla finestra di casa, aspettando i soldati che escono dalla caserma…

Non è affatto una bambina, La “disgraziata” Erica: è piuttosto un’adolescente confusa, che comincia una discesa verso l’ inferno degli adulti imboccando una strada insanguinata. Tre puntini di sospensione chiudono questo racconto struggente nella sua atrocità, che doveva continuare ma è rimasto interrotto, senza possibilità di redenzione. Interrotto e compiuto nel segno del dolore e della fame che trasforma una bambina abbandonata in madre dei suoi fratelli e in prostituta. Vittorini colpisce nel segno con una scrittura tersa e visionaria che racconta e dipinge una vicenda lontana nel tempo e attuale nelle sue tematiche: povertà, mancanza di lavoro, infanzia negata, violazione dell’infanzia e della femminilità…

Erica ei i suoi fratelli  è una piccola perla della narrativa italiana, un racconto lungo, che vale la pena di riscoprire,per la bellezza del suo stile ma soprattutto per il suo potere catartico. Un piccolo dolore che viene dal passato che aiuta a riflettere anche sul nostro presente.

martedì 20 novembre 2012

Esempi di letture creative: Un ricordo - racconto di Umberto Saba



Direttamente dagli Atti del Convegno ADI 2010, pubblicati questo mese dall'Università degli studi di Genova, vi offriamo un piccolo saggio di lettura critico-creativa basato sul ricordo-racconto di Umberto Saba  Come fui bandito dal Montenegro
  


BUONA LETTURA!


http://www.diras.unige.it/Adi%202010/Magro%20Letizia.pdf


Per un riferimento bibliograficocompleto riportiamo di seguito copia del frontespizio in formato elettronico degli Atti


Associazione degli Italianisti
XIV CONGRESSO NAZIONALE
Genova, 15-18 settembre 2010

LA LETTERATURA DEGLI ITALIANI
ROTTE CONFINI PASSAGGI

A cura di ALBERTO BENISCELLI, QUINTO MARINI, LUIGI SURDICH

Comitato promotore
ALBERTO BENISCELLI, GIORGIO BERTONE, QUINTO MARINI
SIMONA MORANDO, LUIGI SURDICH, FRANCO VAZZOLER, STEFANO VERDINO

SESSIONI PARALLELE
Redazione elettronica e raccolta Atti
Luca Beltrami, Myriam Chiarla, Emanuela Chichiriccò, Cinzia Guglielmucci, 
Andrea Lanzola, Simona Morando, Matteo Navone, Veronica Pesce, Giordano Rodda
DIRAS (DIRAAS), Università
degli Studi di Genova, 2012
ISBN 978-88-906601-1-5

sabato 17 novembre 2012

Dove siamo e dove andiamo? Una piccola riflessione (epistemologica?)


Nel mio percorso di studentessa, e soprattutto in quello più definito e strutturato di dottoranda di ricerca in italianistica, mi sono ritrovata ad ascoltare (e necessariamente a confrontarmi con) quella che si definisce la giovane generazione di studiosi (quarantenni che vanno per i cinquanta, ma del resto io sono già una trentenne e per il panorama della critica letteraria sono solo una principiante…) che si occupa di letteratura italiana. 

In particolare, durante il convegno ADI tenutosi a Torino nel settembre 2011, questo gruppo di “giovani” ha proposto uno spazio di discussione in merito al significato della letteratura nella contemporaneità, e sul ruolo della critica e dell’editoria.
In linea di massima ho trovato diversi punti di coesione tra quello che è il mio pensiero (ermeneutico?) e le problematiche che sono state (e continuano ad essere) sollevate dalle nuove voci della critica letteraria e della piccola editoria italiana; tuttavia continuo a pormi una domanda, ovvero, più che sollevare interrogativi, alimento una riflessione che mi  rode lo stomaco a guisa di gastrite: come dobbiamo servirci di queste teorie e di discorsi squisitamente descrittivi che, più che una nuova critica, producono una  meta-critica, all’interno delle nostre ricerche? 

La domanda non mi sembra affatto peregrina (non stiamo qui a pettinar bambole), perchè  mi è sembrato di percepire quali siano i rischi di queste problematizzazioni descrittive: si sollevano interessanti polveroni sullo stato in cui si trovano letteratura e critica letteraria e nello stesso tempo si continua ad operare in ambiti e modalità di ricerca classici, standardizzati, accademicamente codificati: è una sorta di andamento bifronte e schizofrenico, per cui la  res publica litterarum,  rimane lì, immobile e immodificata nelle sue regole (volendo sintetizzare con una frase di forte impatto visivo potremmo dire che chi urla “al lupo al lupo”, in mezzo alle fauci del lupo ci sta benissimo, perché non è altro che un batterio della carie)

In tutto questo il povero lettore si allontana sempre di più dal libro cartaceo, a meno che non sia un grande best seller leggibile sotto un ombrellone, e non prova più alcun brivido(ovvero ne prova davvero pochi) quando prova a leggere un cosiddetto “classico”, se poi il suddetto “classico” è accompagnato da riflessioni, interpretazioni, dibattiti e discussioni che si appellano a grandi, grandissimi, e contorti ermeneuti, ecco che, il nostro bel “classico” rimane imprigionato nei corridoi dei dipartimenti delle nostre (disumanizzate) facoltà umanistiche.

Non voglio sconfessare nessuno (non mi permetterei mai, non si deve distruggere, ma costruire, e poi i giovani critici a cui faccio riferimento sono persone per cui nutro una grande stima, che in certi casi sfiora l’amicizia) Tuttavia quelli che sono problemi INDIVIDUATI e DESCRITTI non dovrebbero essere affrontati concretamente in modo tale da fondere realmente le due dimensioni, quella accademica in cui la cultura si è cristallizzata (e anche un pochino imbalsamata), e quella reale in cui invece si è eccessivamente banalizzata oppure si dibatte in diatribe prive di risposte, in modo tale da ottenere delle nuove formulazioni che siano davvero  attive?

Il punto allora non è solamente dove siamo, ma anche come dobbiamo muoverci per costruire qualcosa di nuovo nel panorama critico e letterario italiano (insomma si tratta di compiere una sana mediazione tra teoria e pratica, non soltanto di prendere posizione). E questo per noi stessi in quanto studiosi (io sono una che ci prova, quindi mi butto nella mischia) e per i lettori, che hanno bisogno di nuovi stimoli e di linee guida (li abbiamo un po’ abbandonati a se stessi, e invece il nostro ruolo è anche, e forse soprattutto, quello di educatori, perché, quando interpretiamo un testo stiamo dandogli la nostra voce, quindi cerchiamo anche qualcuno che ci ascolti per consegnargli qualcosa, e non credo proprio che questo qualcuno siano solo degli studiosi come noi, sarebbe una noia colossale, ma  se una voce non si sente o è incomprensibile un testo rimane muto e comincia a morire).

Giungono a dare manforte  alla mia riflessione le parole di una giovane dottoressa di ricerca in italianistica e insegnante in una scuola secondaria di primo grado piemontese (insomma una come me, solo che io sicula sono) allieva del professore Mario Pozzi: Valentina Martino, che, rispondendo alle domande che mi ero posta mentre ascoltavo con (relativa) attenzione (si sa che dopo quindici minuti i livelli attentivi si riducono drasticamente, quindi prendere appunti, e porsi interrogativi, diventa una soluzione molesta, ma utile, per trattenere il filo del discorso…) ha lasciato traccia delle sue riflessioni nella mia agendina. A questo punto bisognerà quindi stabilire quanto fossimo distratte entrambe… e quanto queste considerazioni non  siano solo delle deliranti elucubrazioni post intellettualiste…

La Martino manifesta il timore che se qualcuno accogliesse il mio invito a compiere il passo di sintesi che io auspico, si correrebbe il rischio  di vedere i binari (divergenti?) della prospettiva descrittiva e della pratica  della ricerca ridotti ad un’unica soluzione normativa e rigida, originata dal mondo accademico (e del resto i giovani critici parlanti e problematizzanti non sono forse degli accademici? )

Per cui la soluzione che auspica, usando un buon senso che definisce da “campagnina”, è quella di muoversi, facendo quel che si può, seguendo il metodo ( e i consigli ) dei buoni maestri, i risultati, frutto di competenza maturata con il lavoro e non di dissertazioni teoriche (un pochino asettiche e autolatriche aggiungerei io, anche se fatte il piena buona fede) parleranno da sé, solo così costruzione di strumenti teorici, applicazioni didattiche e costruzione del sapere appariranno come tre vertici di un triangolo e non come tre linee parallele che non si incontrano mai (il paragone geometrico è mio…) 

In breve continuiamo a confrontarci coi testi, e facciamo scorrere il nostro sangue nelle parole che leggiamo-studiamo-interpretiamo, così loro continueranno risponderci, perché non sono lettere mute, hanno bisogno della nostra carne e del nostro sangue per (soprav-) vivere e per poter parlare a un pubblico (studioso-medium). Ben vengano tutte le domande, ma senza diventare polemiche, talvolta falsamente politicizzate, o esercizi di retorica contemporanea. 

Tuttavia se lo “sbrodolamento” di parole che si produce quando si fa teoria della critica e della letteratura può contribuire a far sì che in giro si dica”la critica letteraria è viva” “la letteratura ha ancora un senso nel non-senso” vorrà dire che almeno qualcuno si accorgerà che ci sono ancora dei luoghi in cui si pensa, a prescindere da come questo pensiero viene espresso.

E il pensiero può sempre diventare azione.

lunedì 8 ottobre 2012

Poesia - colore -emozione Dante, Inf. XXVI


Questo è un esperimento coloristico-emozionale: riportiamo di seguito uno dei più intensi canti dell'Inferno dantesco, il ventiseiesimo, meglio noto come il canto di Ulisse...daremo un colore differente alle varie parole e ai gruppi di endecasillabi e terzine, ciascun colore esprime una vibrazione emotiva e artistica differente, certamente il culmine di questo capolavoro poetico è costituito dall' "Orazion picciola" ovvero dal discorso che Ulisse fa ai suoi compagni esortandoli a seguire la loro virtù e la voglia di conoscere... 

Si comincia con un'invettiva...

Godi, Fiorenza, poi che se' sì grande
che per mare e per terra batti l'ali,
e per lo 'nferno tuo nome si spande!

Tra li ladron trovai cinque cotali
tuoi cittadini onde mi ven vergogna,
e tu in grande orranza non ne sali.

Ma se presso al mattin del ver si sogna,
tu sentirai, di qua da picciol tempo,
di quel che Prato, non ch'altri, t'agogna.

E se già fosse, non saria per tempo.
Così foss' ei, da che pur esser dee!
ché più mi graverà, com' più m'attempo
.    

  Adesso ci troviamo nella bolgia dei consiglieri di frode (insomma, chi ha tentato di fregare i suoi amici...)

Noi ci partimmo, e su per le scalee
che n'avea fatto iborni a scender pria,
rimontò 'l duca mio e trasse mee;

e proseguendo la solinga via, 
tra le schegge e tra ' rocchi de lo scoglio
lo piè sanza la man non si spedia.

Allor mi dolsi, e ora mi ridoglio
quando drizzo la mente a ciò ch'io vidi, 
e più lo 'ngegno affreno ch'i' non soglio,

perché non corra che virtù nol guidi;
sì che, se stella bona o miglior cosa
m'ha dato 'l ben, ch'io stessi nol m'invidi.

Quante 'l villan ch'al poggio si riposa,
nel tempo che colui che 'l mondo schiara
la faccia sua a noi tien meno ascosa,

come la mosca cede a la zanzara,
vede lucciole giù per la vallea,
forse colà dov' e' vendemmia e ara:

di tante fiamme tutta risplendea
l'ottava bolgia, sì com' io m'accorsi
tosto che fui là 've 'l fondo parea.

E qual colui che si vengiò con li orsi
vide 'l carro d'Elia al dipartire,
quando i cavalli al cielo erti levorsi,

che nol potea sì con li occhi seguire,
ch'el vedesse altro che la fiamma sola,
sì come nuvoletta, in sù salire:

tal si move ciascuna per la gola
del fosso, ché nessuna mostra 'l furto,
e ogne fiamma un peccatore invola.

Io stava sovra 'l ponte a veder surto,
sì che s'io non avessi un ronchion preso,
caduto sarei giù sanz' esser urto.

E 'l duca che mi vide tanto atteso,
disse: «Dentro dai fuochi son li spirti;
catun si fascia di quel ch'elli è inceso».

 Ed ecco che si profilano le due guest stars!!!

«Maestro mio», rispuos' io, «per udirti
son io più certo; ma già m'era avviso
che così fosse, e già voleva dirti:

chi è 'n quel foco che vien sì diviso
di sopra, che par surger de la pira
dov' Eteòcle col fratel fu miso?».

Rispuose a me: «Là dentro si martira
Ulisse e Dïomede,
e così insieme
a la vendetta vanno come a l'ira;

e dentro da la lor fiamma si geme
l'agguato del caval che fé la porta
onde uscì de' Romani il gentil seme.

Piangevisi entro l'arte per che, morta,
Deïdamìa ancor si duol d'Achille,
e del Palladio pena vi si porta».

«S'ei posson dentro da quelle faville
parlar», diss' io, «maestro, assai ten priego
e ripriego, che 'l priego vaglia mille,

che non mi facci de l'attender niego
fin che la fiamma cornuta qua vegna;
vedi che del disio ver' lei mi piego
!».

Ed elli a me: «La tua preghiera è degna
di molta loda, e io però l'accetto;
ma fa che la tua lingua si sostegna.

Lascia parlare a me, ch'i' ho concetto
ciò che tu vuoi; ch'ei sarebbero schivi,
perch' e' fuor greci, forse del tuo detto».

Poi che la fiamma fu venuta quivi
dove parve al mio duca tempo e loco,
in questa forma lui parlare audivi:

«O voi che siete due dentro ad un foco,
s'io meritai di voi mentre ch'io vissi,
s'io meritai di voi assai o poco

quando nel mondo li alti versi scrissi,
non vi movete; ma l'un di voi dica
dove, per lui, perduto a morir gissi».

Il racconto dell'ultimo viaggio....

Lo maggior corno de la fiamma antica 
cominciò a crollarsi mormorando,
pur come quella cui vento affatica;

indi la cima qua e là menando,
come fosse la lingua che parlasse,
gittò voce di fuori e disse: «Quando

mi diparti' da Circe, che sottrasse
me più d'un anno là presso a Gaeta,
prima che sì Enëa la nomasse,

dolcezza di figlio, né la pieta
del vecchio padre, né 'l debito amore
lo qual dovea Penelopè far lieta,

vincer potero dentro a me l'ardore
ch'i' ebbi a divenir del mondo esperto
e de li vizi umani e del valore
;

ma misi me per l'alto mare aperto
sol con un legno e con quella compagna
picciola da la qual non fui diserto.

L'un lito e l'altro vidi infin la Spagna,
fin nel Morrocco, e l'isola d'i Sardi,
e l'altre che quel mare intorno bagna.

Io e ' compagni eravam vecchi e tardi 
quando venimmo a quella foce stretta
dov' Ercule segnò li suoi riguardi

acciò che l'uom più oltre non si metta;
da la man destra mi lasciai Sibilia,
da l'altra già m'avea lasciata Setta.

``O frati", dissi ``che per cento milia
perigli siete giunti a l'occidente,
a questa tanto picciola vigilia

d'i nostri sensi ch'è del rimanente
non vogliate negar l'esperïenza,
di retro al sol, del mondo sanza gente.

Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza"
.

Li miei compagni fec' io sì aguti,
con questa orazion picciola, al cammino,
che a pena poscia li avrei ritenuti;

e volta nostra poppa nel mattino,
de' remi facemmo ali al folle volo,
sempre acquistando dal lato mancino.

Tutte le stelle già de l'altro polo
vedea la notte, e 'l nostro tanto basso,
che non surgëa fuor del marin suolo.

Cinque volte racceso e tante casso 
lo lume era di sotto da la luna
poi che 'ntrati eravam ne l'alto passo,

quando n'apparve una montagna, bruna
per la distanza, e parvemi alta tanto
quanto veduta non avëa alcuna.

Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto;
ché de la nova terra
un turbo nacque
e percosse del legno il primo canto.

Tre volte il fé girar con tutte l'acque;
a la quarta levar la poppa in suso
e la prora ire in giù, com'
altrui piacque,
infin che 'l mar fu sovra noi richiuso».

Forse non rende benissimo l'idea, ma, se ad ogni parola di questo canto (che anticipa i tempi, perchè parla del valore dell'intelletto e della centralità dell'uomo, pur condannandoli in nome di una fede innominabile...) proviamo ad associare un'immagine o una vibrazione emotiva, potremo percepirne tutta la potenza fisica e coloristica...è uno sforzo...creativo....

martedì 25 settembre 2012

Della lettura snob: ovvero la lettura come maschera di debolezza


-Non hai ancora letto questo libro? Ma come hai potuto? Io te lo consiglio VI-VA-MEN-TE, mi ha letteralmente cambiato la vita!-
- Io, di questo autore ho letto proprio TUTTO, dalla prima all’ultima riga, e potrei anche citartelo se vuoi!
- Leggere è un’esperienza troppo importante, io leggo di tutto, ad esempio, hai presente quel libro di cui si è parlato tanto? Ecco, l’ho letto. Veramente profondo-
Frasi come queste sono proferite giornalmente dai cosiddetti amanti ( fanatici) della lettura, e costituiscono un valido esempio di quello che, più che uno stile di lettura, è un atteggiamento, quello, appunto, del lettore snob. In realtà i lettori veri (gli appassionati)  sono tutti un po’ snob, perché(a ragione) credono che l’attività di lettura sia un esercizio nobilitante per il loro intelletto, e inoltre tendono a valorizzare la fatica intrinseca all’atto di leggere, che li coinvolge fisicamente e mentalmente.
Solo che, talvolta lo snobismo del lettore prende il sopravvento: questo succede quando il suo narcisismo si impone, facendo sì che egli metta se stesso e la sua bravura al centro del proprio universo di libri, per cui non diventa importante ciò che una buona lettura trasmette, ma la supposta bravura del lettore nello scegliere un determinato libro o un autore. Non è tanto (ovvero non è solo) il concetto di moda o di best seller che guida il lettore snob, spesso sono altri ideali, come l’esotismo o il nazionalismo( fascino degli scrittori orientali, o dei connazionali che scrivono come gli stranieri), la ricerca di classici contemporanei(ne troveremo sempre uno che, tra dieci anni, di classico avrà ben poco), il fascino di un’idea riletta e reinterpretata secondo nuovi canoni (femminismi, filosofismi, storicismi…).
Il lettore snob si mostra orgoglioso delle sue scelte editoriali, le accarezza con la voluttà di chi sembra voler dire agli altri: -Lo vedi come sono figo? Ho letto tutto questo, e me ne vanto.- E talvolta le condivide, cercando di costruire un salotto intellettuale nel quale tenterà di imporre il proprio ego di bravo lettore.
La lettura snob è quindi un difettuccio “di postura”, una piccola (seccante)scoliosi  che può tuttavia essere corretta, non ponendo al centro dell’attenzione la nostra bravura di lettori, quanto piuttosto l’importanza che ha avuto per noi ciò che abbiamo letto, e per esprimerla non occorre certamente sciorinare l’argomento degli ultimi libri che abbiamo letto, basta semplicemente farli diventare suggestioni e riflessioni che possono tradursi in piccoli doni (anche materiali).
Per mostrare il nostro entusiasmo di lettori non serve certamente mettersi al centro dell’universo e proporsi quali nuovi (e terribilmente secchioni) mentori che si propongono di guidare coloro in quali li circondano in una lettura impegnata e consapevole. È più utile ( e corretto nei confronti degli altri) ascoltare, e condividere, senza imporsi, se poi, la qualità delle nostre letture sarà superiore (o più semplicemente differente) a quella di chi ci sta di fronte, troveremo il modo di dargli un consiglio, se lo troveremo opportuno.
 Regalare o prestare  a amico un libro che ci ha emozionato è un gesto bellissmo, che vale molto più dei mille sofismi che potremmo costruire su quello stesso libro. La lettura è un atto di arricchimento che può, e deve,essere condiviso, ma non deve diventare uno status symbol attraverso il quale celare le nostre umane debolezze.

sabato 8 settembre 2012

Leggere i classici:una cura contro l’egocentrismo


Nei programmi di letteratura italiana che gli universitari palermitani devono studiare durante il loro percorso accademico di Lettere è ben specificato: “Leggere in edizione  integrale un’opera  di letteratura italiana”, insomma, oltre a impegnarsi a leggere qualche capitolo della Divina Commedia (giusto per saper parlare di Dante, non ricordandolo solo per la prima terzina dell’Inferno) lo studente ha il dovere di leggere un fantomatico classico di letteratura italiana.
 Non è difficile, e neanche noioso…ovvero, non è difficile ma per molti studenti che un giorno (lontano, vista la situazione della scuola italiana) saliranno in cattedra per insegnare, sembra abbastanza noioso.
Si accomoda davanti a me un tipo, pronto per farsi esaminare, e premette che, essendo studente –lavoratore, non considera la sua preparazione abbastanza approfondita, ma è la sua ultima materia, ha bisogno di laurearsi per non rischiare di essere messo in mobilità dalla sua azienda, insomma chiede misericordia. Il fatto è che io non sono una divinità ( e meno male) sono solo quella che lo deve esaminare nella parte istituzionale del corso di letteratura italiana, posso tentare di metterlo a suo agio per tirar fuori da lui quello che crede (e spera) di sapere…
Dopo avergli chiesto di parlarmi di autori non esattamente microscopici come Ugo Foscolo (leggendo un passo dei Sepolcri), Giosuè Carducci  e Italo Svevo, vedendo che il povero studente annaspa nel tentativo di inventarsi qualcosa, mi apro a un sorriso Durban’s  e gli chiedo:
“Perché non mi parla del classico che ha letto per l’esame?”
Silenzio
“No perché, scusi, lei l’ha letto il suo programma… era in programma di leggere il classico!”
Silenzio
“Sotto l’ombrellone non era mica faticoso, portarsi…che ne so… Il fu Mattia Pascal o  Conversazione in Sicilia… oppure lei, fa parte di quel pubblico salottesco che ha preferito leggere  cinquanta sfumature di grigio?”
Il volto dello studente esaminato si illumina mentre il nostro pubblico (gli esami hanno SEMPRE un pubblico che prende appunti, nella speranza che quando sarà il turno dello spettatore sia replicata una delle domande che  ha religiosamente segnato, con acclusa risposta, al suo block notes) scoppia in una fragorosa risata.
“Professoressa, l’ha letto anche lei? “ Fa lo studente pensando di aver trovato la chiave di "svolta" per il suo esame “Io ho letto proprio quello sotto l’ombrellone, sa com’è, lo leggevamo in due…”
“Dato il tipo di lettura non lasciamoci andare  a particolari sconvenienti, conosco la trama di questo best seller sadomaso, ma non l’ho letto; comprerò la trilogia quando si decideranno a scontarla, così ne saprò parlare anch’io” e voltandomi verso l’altra collega esaminatrice che mi sta guardando con occhio alquanto ilare “c’è carta e carta no? questa è roba che si compra scontata, tanto, già tra qualche mese,   avranno finito di parlarne e tutt’al più staranno girandoci sopra un film (quasi porno a quanto pare…) interpretato dalla prima ochetta modaiola  di turno…”
Lo studente capisce che non è riuscito a far evolvere in positivo il suo esame e allora abbozza una giustificazione:
“Sa com’è, d’estate, al mare, uno cerca di svagarsi, legge cose senza impegno, per ridere, lo so che non è una giustificazione, ma il classico non sono proprio riuscito a leggerlo, troppo pesante”.
A questo punto un esaminatore coscienzioso – barboso potrebbe decidere di fare una bella ramanzina allo studente inadempiente, dichiarando l’importanza dei classici per la sua formazione personale e professionale e ricordandogli che un giorno queste cose che definisce pesanti le dovrà andare a insegnare, trasmettendo a sua volta il senso di pesantezza che prova, e la sua evidente ignoranza, ai poveri discenti di turno, poi direbbe che alcuni testi sono dei cardini della letteratura e la loro conoscenza è indispensabile e magari farebbe notare al “povero” esaminato che certi passi letterari, alle elementari, si imparavano addirittura a memoria, per quanto erano considerati importanti! E poi attaccherebbe con una ramanzina sulle mode e sulle letture spazzatura che infarciscono gli scaffali delle librerie…
Ma diciamocela tutta, questa sarebbe una ramanzina classica, una di quelle che lo studente si aspetta e che, infatti, gli entrerebbe da un orecchio e gli uscirebbe dall’altro, è anche il rimprovero meno impegnativo, che permette all’esaminatore di credere di avere  la coscienza pulita, dichiarando che i classici sono semplicemente “importanti”, ed è importante impararli bene per insegnarli altrettanto bene…
Ma essendo che un esamino di coscienza me lo sono fatta anche io, preferirei appuntare l’attenzione su altri elementi che fanno della lettura dei classici (non solo della letteratura italiana) un’ ESPERIENZA importante, e che esulano dalla banale celebrità accademica dell’opera che stiamo leggendo…
Leggere un’opera che ha vinto “di mille secoli il silenzio” è un’esperienza che ci aiuta innanzitutto a capire meglio noi stessi, perché ci permette di uscire dal nostro tempo e di osservare come spesso un pensiero un’emozione, un colore, un sapore non siano un’esclusiva dei nostri tempi, ma anche altre persone hanno amato, sognato, mangiato, dormito, pensato, inventato con la stessa intensità con cui anche noi compiamo queste azioni. Un classico è edificante non perché è portatore di un messaggio, ma perché ci trasmette qualcosa di più grande: la vita attraverso i secoli.
Perché ci si emoziona tanto quando si osserva una grafia lontana da noi nel tempo o nello spazio (cuneiforme, geroglifica, pittografica)? Semplice, pechè vorremmo sapere che cosa esprime, e se i segni si avvicinano agli oggetti delle vita quotidiana, allora ci sembra che facciano rivivere davanti ai nostri occhi azioni  e pensieri  che non ci sono più.
Bene, funziona così anche per i libri, specialmente per quelli che qualcuno ha inserito nel canone dei classici, solo che ormai l’equazione classico = libro (spesso palloso) legato in qualche modo alla scuola, sembra prendere il sopravvento, e lo fa anche quando il professore di turno dice all’allievo: “Sei un asino perché non vuoi leggere un libro che ti potrà servire un giorno se devi insegnare”. Questa  non è una giustificazione, perché:
a) Non tutti gli studenti di lettere diventeranno insegnanti.
b) Un insegnante dovrebbe avere una maggior coscienza (una coscienza metaletteraria?) di quello che sta insegnando, e quindi…cercare di capire dove sta l’importanza di un classico senza dire semplicemente “è importante!”
Allora potrebbe essere una buona idea affermare che la lettura di un libro scritto mille o anche solo cento anni fa è un’ottima soluzione per contrastare  il nostro dilagante egocentrismo.
“Leggi, perché non esisti solo tu, coi tuoi pruriti intellettuali e sessuali”, leggi perché c’è gente che alcune cose le ha espresse con sconcertante fascino quando di te non c’era neanche il sentore sulla faccia della terra, perché la bellezza è bellezza delle parole e nelle cose che esprimono, e anche quando non vogliono insegnarci nulla, ci hanno insegnato che non tutto serve a qualcosa, e che questo lo sapevano anche gli scrittori di mille anni fa…”. Così, penso che lo capisca anche un ragazzino delle elementari (magari di quinta, va'!)
Il povero studente al quale ho tentato ( non è semplice, perché in queste circostanze si ha fretta di passare avanti, per “giustiziare” qualcun altro…) di fare  questa seconda ramanzina, precisando che nessuna lettura è davvero impegnativa se il lettore si appassiona, e che quindi poteva portarsi sotto l’ombrellone anche l’Inferno  di Dante, riproverà a sostenere l’esame un’altra volta…mi spiace davvero, perché lavorando è difficile conciliare troppi impegni…ma almeno non l’ho fatto alzare sentendomi la coscienza sporca.
Un classico non si legge perché è importante, ma perché mi aiuta a non mettermi al centro dell’universo, quindi non è un obbligo noioso, è una cura, NECESSARIA, per tutti!

sabato 1 settembre 2012

Il disco di Phaistos...lettura come esperienza visiva!

Quasi quattromila anni di storia per questo disco su cui sono incisi alcuni simboli che, ancora oggi, non hanno trovato decifrazione...ma è scrittura, forma di espressione ispirata agli oggetti che sono nello spazio...
Questo testimonia che scrittura e lettura sono esperienze innanzitutto visive, non solo perché coinvolgono gli occhi che decifrano un codice, ma perché questo codice stabilisce un continuo (più o meno arbitrario, più o meno sublimato) contatto con la realtà che ci circonda...
Ogni parola possiede una consistenza, in quanto insieme di grafemi, morfema, parte del discorso, ma anche perché è sempre, in qualche modo, 'deittica', terrena, fisica, nella sua capacità evocativa...è questo che sembra dirci  l'enigmatico disco di Festo...

martedì 28 agosto 2012

I diversi stili di lettura: lettura – immedesimazione


È bello immergersi nelle pagine che stiamo leggendo, sentirle vibrare nella nostra anima e condividerle pienamente, pensare che “tutto è bello, tutto è perfetto, tutto è vero”, ma… è sempre giusta, ovvero, è sempre equilibrata, questa maniera di leggere? Non sarà che a volte ci facciamo trasportare troppo, e che i nostri neuroni sono un po’ troppo sensibili (fessacchiotti…) al fascino della pagina scritta?
Questo non vuole certo essere un attacco ai cuori dei lettori più appassionati (spesso solitari e sprezzanti del volgo…),  è più che altro una constatazione:  alcuni sensibilissimi lettori non riescono a mantenere le giuste distanze da ciò che stanno leggendo,  immedesimandosi in modo eccessivo nelle pagine che divorano con tutte le parti del loro corpo ( PRENDERE PER ORO COLATO LE COSE CHE SI LEGGONO….)
Sembra uno stile di lettura poco frequente, ma i  lettori di opere filosofiche e pseudofilosofiche  protendono spesso a immedesimarsi nelle parole di quelli che considerano dei maestri! Una forma di immedesimazione più subdola è quella del citazionismo esasperato: Il lettore che tende all’immedesimazione  impara a memoria frasi e stralci di un libro che lo emozionano e poi…li usa (li vomita letteralmente) al momento che ritiene più opportuno (e che  magari non lo è proprio…)
Perdersi nei meandri di un  libro è meraviglioso, rilassante, rigenerante (Però stiamo  attenti ai nostri occhi! Leggiamo adoperando  la giusta luce, altrimenti, una bella congiuntivite, non ce la toglierà nessuno, altroché lettura rilassante!!!!) Ma aggrappiamoci sempre , come Teseo, al  filo d’Arianna che ci permette di mantenere un contatto con la realtà!Immedesimarsi sì, ma con critica moderazione…

venerdì 24 agosto 2012



Dieci minuti con Umberto Saba...

Ho trovato su Youtube questo documento del 1956...e mi sono emozionata ad ascoltare e a osservare in che modo sono state sentite, vissute e  interpretatele parole poetiche da chi le ha scritte...
(Che occhio innamorato! Che voce malinconicamente tremante di poesia!)


giovedì 23 agosto 2012

  

I diversi stili di lettura: lettura accademica o lettura-studio


Una maniera di leggere dal nome altisonante, ma  che è in realtà particolarmente diffusa, seppur in forme che sono  più o meno evolute, a seconda del grado d’istruzione di chi sta leggendo.
Solitamente la lettura accademica si presenta come una necessità: io leggo un testo  perché devo studiarlo (ad esclusione, logicamente di chi fa della lettura un lavoro, in tal caso il lettore VUOLE studiare uno specifico argomento) questo significa che mi concentro su aspetti diversi da quelli emozionali: la lettura-studio si intraprende per acquisire dei concetti, implica un profondo esercizio dell’attenzione e maggior sforzo della memoria  che raccoglie dalle pagine le informazioni e, a seconda dei casi, le elabora in funzione di uno scopo specifico (esercitazioni, esami, interrogazioni).
Spesso la lettura accademica interessa testi poco coinvolgenti come i manuali, i quali (lo dice anche il nome) hanno uno scopo prevalentemente didattico e nozionistico, per cui lo stile di  lettura accademico appare “diverso” da qualsiasi altro  anche a causa dei supporti materiali sui quali si esplica. Ha inoltre dei tempi e delle scadenze, che fanno sì che l’aspetto coercitivo delle lettura prenda il sopravvento rispetto a quello formativo.
Tante volte, prima a scuola e poi  all’Università, ci hanno propinato poesie da imparare a memoria, testi letterari da analizzare per cercare di comprenderne lo stile, interi volumi (questo vale in particolar modo per chi ha affrontato studi umanistici) di classici da “studiare”. Ma, in questo modo, troppo occupati a scovare un enjambemant, o a cercare assonanze e consonanze tra un determinato testo e la produzione letteraria ad esso coeva,  non ci siamo fatti prendere dalla sua intrinseca bellezza e dai suoi significati, lo abbiamo soltanto studiato, ma non lo abbiamo davvero letto.
 Proviamo a rileggere, senza secondi fini, un sonetto foscoliano, un canto della Divina Commedia di Dante Alighieri, o un capitolo dei  Promessi sposi  manzoniani, immergiamoci nelle pagine di filosofi come Platone o Nietzsche godendo della forma e della sostanza, espressa  dalle loro  parole, e lasciamo che i concetti e le immagini maturino in noi, diventando uno ktema es aei (un possesso perenne, cfr. Tucidide…).  Questo vale anche per le materie meno umanistiche e più scientifiche, le nozioni non vanno solo memorizzate, vanno comprese (dal latino comprehendo = abbraccio) e interiorizzate; tanto per intenderci, non mi serve imparare a memoria un manuale di anatomia o tutto il codice civile, se poi non riesco a interpretarli, e l’interpretazione nasce sempre da una fruizione partecipata di ciò che stiamo studiando .
Solo in questo modo, la lettura accademica non sarà una semplice raccolta di nozioni da sfoggiare al momento opportuno…

P.S.  Una  lettura accademica mal fatta può diventare una lettura annoiata,  o distratta, e può avere anche degli effetti collaterali di tipo fisico: capita di frequente infatti che questo stile di lettura si accompagni  ad un bisogno compulsivo di fare altro (stare al computer o davanti la TV, fantasticare, mangiare…)
È necessario porsi delle scadenze e degli obiettivi durante i nostri studi, ma non dobbiamo neanche forzare la mano; studiare deve essere un arricchimento e non soltanto un fastidioso obbligo ingrassante… (anche se tante volte, non è facile…)

giovedì 2 agosto 2012

mercoledì 1 agosto 2012

I diversi stili di lettura (prima parte...)




Partiamo da un asserto fondamentale: non esistono cattivi lettori (tutt’al più esistono opere scadenti, questa è la fregatura… ma sta a noi evitarle o leggerle con cautela…)
La lettura siamo noi (noi scegliamo l’opera, il momento e il luogo della nostra lettura) e ciascuno di noi è unico e inimitabile per cui avrà una propria maniera di vivere le pagine che sta leggendo…
Date queste premesse non voglio fare alcuna categorizzazione, tuttavia mi piacerebbe riflettere sui diversi modi in cui leggiamo, perché nella diversità esistono delle costanti, dettate dalle contingenze, che non possono essere trascurate.
Riflettere su di esse può aiutare a correggere qualche cattiva abitudine, a valorizzare le nostre qualità e a capire meglio in che modo ognuno di noi, secondo le sue possibilità,  possa diventare un lettore creativo.

Cominciamo a indagare tre stili di lettura apparentemente sbagliati (lo sbaglio non è mai nello stile ma nelle circostanze  in cui questo si manifesta)…

1) Lettura distratta o superficiale: Gli occhi scorrono con assoluta indifferenza le pagine che sono loro sottoposte; per cui solo poche parole, corrispondenti ad altrettanto pochi concetti, riescono ad impressionarli e a fissarsi nei nostri pensieri. Spesso questo stile di lettura è conseguenza di una costrizione (a volte anche di un’autocostrizione) e può combinarsi con altri stili. Ogni cosa a suo tempo…
In certe circostanze… meglio sfogliare un bell’album di fotografie!

2) Lettura annoiata: Per certi versi è molto simile alla lettura distratta, ma le sue premesse sono leggermente diverse. Quante volte ci capita di essere incuriositi dal titolo di un’opera letteraria, o di averne tanto sentito parlare, da decidere di prenderla  in mano e cimentarci nella sua lettura? D’improvviso però ( o pian piano, dipende dalle circostanze)  il quid che ci ha spinto alla lettura svanisce e rimaniamo (talvolta inspiegabilmente) delusi da quello che leggiamo. Siamo testardi, insistiamo, ma non troviamo nessuna corrispondenza (neanche minima) tra noi le pagine che stiamo sfogliando…
Spesso non è colpa di ciò che stiamo leggendo (non ci troviamo necessariamente davanti a un cattivo libro); possiamo essere noi che, in quel preciso istante, abbiamo bisogno di altro (una bella passeggiata, un bel film, un altro libro!)  e non ci troviamo in sintonia con le parole che scorrono sotto i nostri occhi. Ci sforziamo di continuare il nostro viaggio tra le pagine, senza accettare che non siamo riusciti a partire, e ci annoiamo…
Chiudiamo questo libro, riserviamocelo per un momento più opportuno…

3) Lettura rapida: la lettura rapida è funzionale a qualcos’altro, un ripasso, una punta di curiosità, l’urgenza di recuperare delle informazioni. Solitamente quindi serve a riportare a galla delle impressioni che avevamo colto in una lettura precedente. A volte si legge rapidamente per scommessa (chi finisce prima di leggere questa pagina?) a volte per superficialità ( va bene, questo argomento non mi interessa, ma leggiamo comunque, magari ci trovo qualcosa di interessante). Può certamente essere uno stile di lettura costruttivo, ma bisogna saperlo gestire!
La lettura rapida di una poesia spegne i suoi colori nascosti…

martedì 31 luglio 2012

Un'idea...

La lettura deve essere un'esperienza creativa, Leggere significa vivere ogni pagina colorandola con la nostra anima...