sabato 22 agosto 2020

TI RACCONTERÒ UNA FIABA Considerazioni intime e creative sulle Trecento fiabe, novelle e racconti siciliani raccolti da Giuseppe Pitré

 Ho conosciuto mia nonna materna intorno ai sette anni. Si chiamava Angelina. Era una signora che portava induriti sul suo viso i segni di una vita faticosa, in cui si era battuta a modo suo per la propria indipendenza di donna, maritata vecchia rispetto alla media della sua epoca (intorno ai 26 anni...) e rimasta sola per scelta con tre figlie piccole alla fine degli anni '40 del Novecento, dopo aver lasciato il marito con cui non andava più d'accordo, e che per sua "fortuna" era poi morto giovanissimo in un misterioso incidente in mare per cui non era più stato ritrovato neanche il suo cadavere...

Bella lo era indubbiamente stata, una di quelle bellezze eteree dagli occhi che variavano il loro colore adattandosi al cielo,  i capelli ricci che da biondi erano diventati bianchi, le mani lunghe e ormai ossute, il corpo prostrato dalla vecchiaia che mostrava nella sua asciuttezza una rigorosa postura. Angelina, secondo le mezze parole di mia madre,  è stata un genitore  sanguigno,  ha nutrito le sue bimbe a lungo con tutto il suo corpo e ha offerto di nascosto e gratuitamente il proprio latte anche a un  bimbo in difficoltà (mio nonno non voleva, non doveva togliere da mangiare alla sua ultima bambina), ma non ha esitato  a lasciare anche  nude le figlie bambine e quasi adolescenti a furia di picchiarle per ridurle all'obbedienza.

In tal senso, ripensando alla sua forza nutritiva, sostenuta dalla memoria di mia zia che ha preso il suo latte fino ai due anni e mezzo e ne ricorda ancora distintamente il sapore, devo a mia nonna Angelina anche questa eredità: se non fosse stato per questo ricordo di maternità che può sembrare ferino ma a mio avviso è  profondamente dolce e tenace, probabilmente mi sarei arresa alla prima difficoltà  nell'avvio dell'allattamento con i miei due figli, perché  mia madre non mi aveva mai allattato al seno, e quindi non poteva sostenermi con l'esperienza personale, ma solo tramite la memoria di quella di sua madre. (Angelina ci ha lasciato il 17 agosto del 2003, all'età di 89 anni; due giorni prima di morire, non riuscendo più a parlare, rimproverò a gesti sua figlia, mia madre, perchè era vestita troppo leggera).

Mia nonna  era una sarta, una "mastra" di quelle brave, che insegnavano a cucire alle allieve, che vedeva un vestito e lo realizzava in una notte; quando l'ho conosciuta le mani e gli occhi non l'accompagnavano più  come una volta, allora si era data al chiacchierino, e i suoi lavori mostravano una precisione tecnica  scientifica di cui era gelosissima e non si mostrava minimamente disposta a tramandare la sua arte alle mani delle figlie. 

Recuperare il tempo che, indipendentemente dalla sua volontà non aveva passato con me e il suo ruolo di nonna non è stato subito semplice per Angelina, tuttavia  voglio credere che la nostra sia  stata una riconquista piena, perché ci ha donato tanto in termini di affetto e di corrispondenza d'amorosi sensi.

Giocavamo a carte con nonna Angelina, e lei non mi lasciava vincere: era un'avversaria ostica e anche un po'  sbruffona, l'occhio le rideva a indovinare quali briscole stringevo col paravento delle mie mani e poi c'era  quel gioco che si chiamava " Ti vitti" ( "ti ho visto" in italiano...almeno credo) nel quale, dandomi l'illusione di essere quasi vincente, mi stracciava senza pietà.

Ma soprattutto, quando rimanevo qualche ora  da lei, mia nonna era una grandissima intrattenitrice: si immedesimava nei miei giochi di bambole, indaffarata tra una pappa a Baby Mia e una controllata di pannolino a Cicciobello, chiacchierava insieme a me col suo canarino giallo  e mi raccontava storie, tante bellissime storie.

Credo che nessuno mi abbia raccontato delle fiabe in modo così coinvolgente come faceva lei. Usando un dialetto asciutto, quasi colto sul quale io, che il dialetto non lo sapevo perché sua figlia, maestra, non lo aveva mai usato per comunicare con me, mi concentravo con una fervida curiosità  ermeneutica.

Ancora oggi mia madre mi racconta spesso che, pur avendo solo la terza elementare, mia nonna amava molto leggere, e conosceva alla perfezione le vicende di Orlando e dei paladini di Francia; era una passione, quella per i libri, che a quanto pare condivideva anche col padre delle sue figlie. 

Sicuramente era una voce narrante davvero notevole, che intrecciava sapientemente storie d'amore e di guerra, di fate e reginotte, di cavalieri e di re coraggiosi.

Se fossi stata un pizzico più grande probabilmente quelle storie, che mia nonna tirava fuori da un repertorio  meraviglioso della tradizione orale, le avrei appuntate, invece quello che mi rimane nella memoria sono frustuli di filastrocche e rime baciate e un'eccezionale impressione di pienezza narrativa.

Una storia mi era piaciuta più  di tutte, era molto articolata, c'erano  amori, inganni e c'era  una "pupa di zuccaro e meli". Mi sono portata dietro questa immagine della "pupa" che la protagonista sostotuisce a sé stessa e a cui viene tagliata la testa dal novello marito, per circa trent'anni. Non avevo alcun riferimento bibliografico, solo una magistrale interpretazione di una storia che non si appoggiava su alcun copione scritto. Poi un giorno, per caso mi sono divertita a scrivere  "pupa di zuccaro e meli" su Google e ho scoperto "La rasta di basilicó". Non ho la certezza che mia nonna mi abbia raccontato proprio la storia che ho avuto modo di rileggere on line, ma ho sicuramente  ritrovato gli intrecci, la musicalità e la "pupa". La mia curiosità si è  spinta più avanti, nutrita anche da qualche input accademico e ho scoperto in questo modo la raccolta di Giuseppe  Pitré Fiabe, novelle e racconti popolari siciliani, che raccoglie 301 testi narrativi che il medico ed etnologo siciliano ha raccolto dalla viva voce di diversi narratori popolari. Tuttavia i quattro volumi in dialetto con traduzione italiana a fronte sono  pressoché  introvabili, per cui, desiderando possedere questo eccezionale corpus narrativo e non soltanto consultarlo in biblioteca,  mi sono accontentata di acquistare un'edizione in italiano  intitolata Il pozzo delle meraviglie (2013, Roma, Donzelli editore) che, pur privandomi della sezione dialettale,  mi ha permesso di appropriarmi di un patrimonio fiabesco e narrativo impressionante (uno dei più  vasti d'Europa) del quale avevo avuto qualche sentore leggendo le "fiabe italiane" curate da Italo Calvino. 

Ho scelto di svolgere una lettura integrale e lenta dei racconti raccolti da Pitré, che mi permettesse di assaporare il più  possibile gli intrecci e di conoscere meglio i personaggi tipici della tradizione orale siciliana.  

Questo approccio mi ha rivelato tante piacevoli scoperte: figure narrative uniche e dense di carattere, intrecci complessi, musicali e mai banali e soprattutto mi ha fornito la percezione di quella che non definirei tanto una forma d'identità siciliana tradotta nella narrazione quanto piuttosto una sorta di specificità culturale che diventa unicità narrativa. Alcune novelle sono davvero dei capolavori novellistici in cui si giovani coraggiosi, reginotte, creature metaumane si muovono in uno sfondo caratterizzato da una coloritura densamente mediterranea.

La racconta di Pitré  è  strutturata come un catalogo,  per cui non è raro leggere diverse versioni della stessa storia o ritrovare la stessa sequenza narrativa in diverse storie. Tuttavia quella che può sembrare una debolezza ( e che lo sarebbe in un'opera con velleità strettamente letterarie) diventa un punto di forza a livello metanarrativo,  in quanto educa il lettore alla costruzione autonoma di nuove storie ispirate a quelle lette in un interminabile gioco d'invenzione. Degna di nota è  anche la sezione che comprende le "storie e fantasie di luoghi e di persone" perché interpreta luoghi cittadini e paesani con le voci della tradizione popolare colorando la storia di aneddoti e storielle fantastiche.

La lettura delle trecentouno novelle del pozzo meraviglioso è stata quindi un'esperienza creativa oltre che  profondamente intima,  ho riscoperto un repertorio fiabesco che era anche quello di mia nonna e l'ho riplasmato secondo le mie esigenze narrative  in un gioco creativo dalle molteplici prospettive. 

La "pupa di zuccaro e meli" e tutte le altre piccole e grandi storie tramandatemi dalla voce creativa e narrativa nonna Angelina sono diventate un'esperienza di lettura altrettanto  creativa  in cui passato personale e  tradizione (Regionale? Folkloristica? Orale?) si fondono in un abbraccio di vita e letteratura che rivolge uno sguardo a un indefinito futuro di memoria e invenzione.



P.S. Si potrebbe affermare, e in verità qualcuno lo ha anche fatto, che queste righe hanno ben poco di ermeneutico e sono sbilanciate sul punto di vista autobiografico. Il che è  vero ed indiscutibile, e devo ammettere che...l'ho fatto di proposito. Il corpus raccolto da Pitré  ha un valore immenso, e può  essere fruito da punti di vista differenti: quello che otterrà forse maggiori  arricchimenti è  il punto di vista etnologico e folkloristico perché  in queste storie si raccolgono e si interpretano credenze popolari, si osservano personaggi storici e cariche nobiliari secondo una prospettiva microstorica che indubbiamente permette di leggere e indagare la cultura regionale con occhi differenti. Mi hanno colpito in tal senso le figure dei vari re di Spagna (il legame storico  tra Spagna e Sicilia è del resto fortissimo e confermato nelle varie narrazioni) e dell'Imperatore Federico, che ho scoperto crudele e sanguinario, e anche la vicenda dei vespri Siciliani raccontata  in tre differenti versioni che riportano tutte un errore di pronuncia che fu fatale agli Angioini. 

Qualche nota arabeggiante rimane nelle ambientazioni, nelle atmosfere e soprattutto negli intrecci  sempre smaglianti, in cui troviamo pochissimi riferimenti  all'Italia del centro-nord, il perno delle azioni dei personaggi è infatti prevalentemente il Mediterraneo.

Ho ritrovato la figura del pasticcione siculo per eccellenza, Giufá, e quella del furbacchione Ferrazzano, e ho conosciuto con immensa ilarità  la storia dell"asino Brancaleone e una serie di favole che trovano la loro origine nelle antiche storie di Esopi e Fedro.

Indimenticabili ed interessantissimi dal punto di vista narratologico sono poi tutti quei fenomeni di resurrezione attraverso magici unguenti, o di trasformazione da animale a uomo e viceversa dei personaggi. E poi, quante donne forti, furbe e coraggiose è  possibile osservare tra le righe di queste storie, prima fra tutte Caterina la sapiente, protagonista di un'avvincente novella piena di colpi di scena e agnizioni.

I punti di vista dai quali si possono leggere e rileggere queste narrazioni sono davvero infiniti, ma certamente quello creativo, per un lettore che non vuole essere per forza uno storico, un antropologo o un cultore della lingua dialettale, e quello più affascinante. 

Leggere queste storie, la cui tradizione orale è stata registrata nella scrittura, permette appunto di coglierne  l'atto creativo nel riconoscimento delle costanti che le animano.  Chi, come Pitré e come me, ha avuto la fortuna di ascoltare delle storie dalle vive parole dei narratori, non può  non percepirne la potenza inventiva ed evocativa che in quanto tale è acquisibile e tramandabile all'infinito in una continua combinazione di elementi e può essere fissata solo in minima parte nella scrittura (continuo a pensare che non potrei trovare delle corrispondenze precise tra le storie raccontate da Angelina e quelle che ho letto, proprio perché, ogni narrazione orale è  unica).

Il mio non vuole essere un discorso formalista, anche se potrebbe a prima vista sembrarlo; non mi interessa smembrare queste storie per elencarne le costanti, voglio piuttosto trasmetterne il valore infinitamente creativo: leggere queste storie ci permetterà  di inventarne delle altre, tutte nostre, che magari non scriveremo mai ma questo esercizio di creazione permette alla fantasia umana di non morire. 

Le storie che mi raccontava (non mi leggeva) Angelina ne sono la più  evidente testimonianza e quelle che  mi diverto a inventare e raccontare (oralmente) ai miei figli sono senz'altro la più  utile ed intima conquista fatta al termine della lettura di questa straordinaria raccolta.