martedì 20 novembre 2012

Esempi di letture creative: Un ricordo - racconto di Umberto Saba



Direttamente dagli Atti del Convegno ADI 2010, pubblicati questo mese dall'Università degli studi di Genova, vi offriamo un piccolo saggio di lettura critico-creativa basato sul ricordo-racconto di Umberto Saba  Come fui bandito dal Montenegro
  


BUONA LETTURA!


http://www.diras.unige.it/Adi%202010/Magro%20Letizia.pdf


Per un riferimento bibliograficocompleto riportiamo di seguito copia del frontespizio in formato elettronico degli Atti


Associazione degli Italianisti
XIV CONGRESSO NAZIONALE
Genova, 15-18 settembre 2010

LA LETTERATURA DEGLI ITALIANI
ROTTE CONFINI PASSAGGI

A cura di ALBERTO BENISCELLI, QUINTO MARINI, LUIGI SURDICH

Comitato promotore
ALBERTO BENISCELLI, GIORGIO BERTONE, QUINTO MARINI
SIMONA MORANDO, LUIGI SURDICH, FRANCO VAZZOLER, STEFANO VERDINO

SESSIONI PARALLELE
Redazione elettronica e raccolta Atti
Luca Beltrami, Myriam Chiarla, Emanuela Chichiriccò, Cinzia Guglielmucci, 
Andrea Lanzola, Simona Morando, Matteo Navone, Veronica Pesce, Giordano Rodda
DIRAS (DIRAAS), Università
degli Studi di Genova, 2012
ISBN 978-88-906601-1-5

sabato 17 novembre 2012

Dove siamo e dove andiamo? Una piccola riflessione (epistemologica?)


Nel mio percorso di studentessa, e soprattutto in quello più definito e strutturato di dottoranda di ricerca in italianistica, mi sono ritrovata ad ascoltare (e necessariamente a confrontarmi con) quella che si definisce la giovane generazione di studiosi (quarantenni che vanno per i cinquanta, ma del resto io sono già una trentenne e per il panorama della critica letteraria sono solo una principiante…) che si occupa di letteratura italiana. 

In particolare, durante il convegno ADI tenutosi a Torino nel settembre 2011, questo gruppo di “giovani” ha proposto uno spazio di discussione in merito al significato della letteratura nella contemporaneità, e sul ruolo della critica e dell’editoria.
In linea di massima ho trovato diversi punti di coesione tra quello che è il mio pensiero (ermeneutico?) e le problematiche che sono state (e continuano ad essere) sollevate dalle nuove voci della critica letteraria e della piccola editoria italiana; tuttavia continuo a pormi una domanda, ovvero, più che sollevare interrogativi, alimento una riflessione che mi  rode lo stomaco a guisa di gastrite: come dobbiamo servirci di queste teorie e di discorsi squisitamente descrittivi che, più che una nuova critica, producono una  meta-critica, all’interno delle nostre ricerche? 

La domanda non mi sembra affatto peregrina (non stiamo qui a pettinar bambole), perchè  mi è sembrato di percepire quali siano i rischi di queste problematizzazioni descrittive: si sollevano interessanti polveroni sullo stato in cui si trovano letteratura e critica letteraria e nello stesso tempo si continua ad operare in ambiti e modalità di ricerca classici, standardizzati, accademicamente codificati: è una sorta di andamento bifronte e schizofrenico, per cui la  res publica litterarum,  rimane lì, immobile e immodificata nelle sue regole (volendo sintetizzare con una frase di forte impatto visivo potremmo dire che chi urla “al lupo al lupo”, in mezzo alle fauci del lupo ci sta benissimo, perché non è altro che un batterio della carie)

In tutto questo il povero lettore si allontana sempre di più dal libro cartaceo, a meno che non sia un grande best seller leggibile sotto un ombrellone, e non prova più alcun brivido(ovvero ne prova davvero pochi) quando prova a leggere un cosiddetto “classico”, se poi il suddetto “classico” è accompagnato da riflessioni, interpretazioni, dibattiti e discussioni che si appellano a grandi, grandissimi, e contorti ermeneuti, ecco che, il nostro bel “classico” rimane imprigionato nei corridoi dei dipartimenti delle nostre (disumanizzate) facoltà umanistiche.

Non voglio sconfessare nessuno (non mi permetterei mai, non si deve distruggere, ma costruire, e poi i giovani critici a cui faccio riferimento sono persone per cui nutro una grande stima, che in certi casi sfiora l’amicizia) Tuttavia quelli che sono problemi INDIVIDUATI e DESCRITTI non dovrebbero essere affrontati concretamente in modo tale da fondere realmente le due dimensioni, quella accademica in cui la cultura si è cristallizzata (e anche un pochino imbalsamata), e quella reale in cui invece si è eccessivamente banalizzata oppure si dibatte in diatribe prive di risposte, in modo tale da ottenere delle nuove formulazioni che siano davvero  attive?

Il punto allora non è solamente dove siamo, ma anche come dobbiamo muoverci per costruire qualcosa di nuovo nel panorama critico e letterario italiano (insomma si tratta di compiere una sana mediazione tra teoria e pratica, non soltanto di prendere posizione). E questo per noi stessi in quanto studiosi (io sono una che ci prova, quindi mi butto nella mischia) e per i lettori, che hanno bisogno di nuovi stimoli e di linee guida (li abbiamo un po’ abbandonati a se stessi, e invece il nostro ruolo è anche, e forse soprattutto, quello di educatori, perché, quando interpretiamo un testo stiamo dandogli la nostra voce, quindi cerchiamo anche qualcuno che ci ascolti per consegnargli qualcosa, e non credo proprio che questo qualcuno siano solo degli studiosi come noi, sarebbe una noia colossale, ma  se una voce non si sente o è incomprensibile un testo rimane muto e comincia a morire).

Giungono a dare manforte  alla mia riflessione le parole di una giovane dottoressa di ricerca in italianistica e insegnante in una scuola secondaria di primo grado piemontese (insomma una come me, solo che io sicula sono) allieva del professore Mario Pozzi: Valentina Martino, che, rispondendo alle domande che mi ero posta mentre ascoltavo con (relativa) attenzione (si sa che dopo quindici minuti i livelli attentivi si riducono drasticamente, quindi prendere appunti, e porsi interrogativi, diventa una soluzione molesta, ma utile, per trattenere il filo del discorso…) ha lasciato traccia delle sue riflessioni nella mia agendina. A questo punto bisognerà quindi stabilire quanto fossimo distratte entrambe… e quanto queste considerazioni non  siano solo delle deliranti elucubrazioni post intellettualiste…

La Martino manifesta il timore che se qualcuno accogliesse il mio invito a compiere il passo di sintesi che io auspico, si correrebbe il rischio  di vedere i binari (divergenti?) della prospettiva descrittiva e della pratica  della ricerca ridotti ad un’unica soluzione normativa e rigida, originata dal mondo accademico (e del resto i giovani critici parlanti e problematizzanti non sono forse degli accademici? )

Per cui la soluzione che auspica, usando un buon senso che definisce da “campagnina”, è quella di muoversi, facendo quel che si può, seguendo il metodo ( e i consigli ) dei buoni maestri, i risultati, frutto di competenza maturata con il lavoro e non di dissertazioni teoriche (un pochino asettiche e autolatriche aggiungerei io, anche se fatte il piena buona fede) parleranno da sé, solo così costruzione di strumenti teorici, applicazioni didattiche e costruzione del sapere appariranno come tre vertici di un triangolo e non come tre linee parallele che non si incontrano mai (il paragone geometrico è mio…) 

In breve continuiamo a confrontarci coi testi, e facciamo scorrere il nostro sangue nelle parole che leggiamo-studiamo-interpretiamo, così loro continueranno risponderci, perché non sono lettere mute, hanno bisogno della nostra carne e del nostro sangue per (soprav-) vivere e per poter parlare a un pubblico (studioso-medium). Ben vengano tutte le domande, ma senza diventare polemiche, talvolta falsamente politicizzate, o esercizi di retorica contemporanea. 

Tuttavia se lo “sbrodolamento” di parole che si produce quando si fa teoria della critica e della letteratura può contribuire a far sì che in giro si dica”la critica letteraria è viva” “la letteratura ha ancora un senso nel non-senso” vorrà dire che almeno qualcuno si accorgerà che ci sono ancora dei luoghi in cui si pensa, a prescindere da come questo pensiero viene espresso.

E il pensiero può sempre diventare azione.