lunedì 7 aprile 2014

Vizi e virtù di un prodotto letterario:Acciaio di Silvia Avallone

Ci sono romanzi che acquistiamo per pura curiosità, specialmente quando fanno capolino con la loro accattivante copertina rigida sugli scaffali della nostra libreria di fiducia.
Poi cominciano a leggerli, e magari ci attacchiamo letteralmente alla sedia per vedere come vanno a finire, ma arrivati all’ultima pagina ci accorgiamo che qualcosa non quadra…
Acciaio (Milano, Rizzoli 2010), opera prima della giovane scrittrice biellese Silvia Avallone, è un romanzo che corrisponde a questa identikit, è infatti un’opera di grande fruibilità che però si disintegra in una bolla d’aria.
La Avallone ha uno stile di scrittura gradevole e sa essere avvincente, la lettura infatti scorre veloce senza intoppi, anche grazie ai numerosi dialoghi e monologhi che sono parte fondante della struttura di questo corposo romanzo diviso in quattro parti; tuttavia nonostante abbia dimostrato di essere capace di cimentarsi in una tipologia scrittura relativamente accattivante, non è riuscita a costruire una storia di spessore.
L’autrice racconta le vicende di due bambine-adolescenti, le rappresenta nel loro micro-habitat,ovvero i casermoni di Via Stalingrado a Piombino, immerso a sua volta nella più grande realtà della classe operaia della tentacolare acciaieria "Lucchini"e scosso dalla grande tragedia dell’11 settembre, tuttavia piccoli e grandi avvenimenti non si incontrano, si sfiorano solamente sovrapponendosi fra loro.
Anna e Francesca, le due giovani protagoniste, stanno per compiere 14 anni, e sembra quasi che la loro vita debba essere decisa in questo delicato periodo di passaggio,è l’anno che le porterà dalla terza media alla prima superiore. Sono due grandi amiche, il loro rapporto è profondo e quasi simbiotico, ma imboccano due strade differenti e un rapporto magico, e quasi primordiale nella sua intimità, si sfalda irrimediabilmente: quello delle due ragazzine è un piccolo mondo scosso da avvenimenti altrettanto piccoli, che tuttavia diventano, enormi per le loro piccole anime, ferite a morte dalla fine di un’ amicizia così forte.
Francesca, è un’adolescente algida, filiforme ed eterea, vittima di un padre morboso e di una madre inaridita, ma indagare nei suoi pensieri e scoprire che non le piacciono i ragazzi facendola diventare una ballerina di lap-dance a 14 anni non serve ad altro se non a caricare pateticamente un personaggio che appare chiuso, sul punto di sbocciare, ma non ancora perfettamente sbozzato, a differenza della sua amica Anna, che è invece così definita nelle sue infantili decisioni come nelle curve del suo corpo adolescenziale, deflorato dal bel Mattia, il poco raccomandabile amico di suo fratello Alessio.
Adolescenti di questo tipo esistono senza dubbio, ma Francesca ed Anna hanno qualcosa di eccessivo, animalesco ed esasperato, sono troppo verisimili per essere anche credibili. Un eccesso di verità si traduce in un ritratto falso, in cui non ci si immedesima, si diventa piuttosto spettatori di scene morbosamente reali.
Ma sono soprattutto le conclusioni di questa storia, che in realtà dovremmo definire una non-storia, a lasciare l’amaro in bocca.
Acciaio, in fin dei conti non racconta nulla, tratteggia piuttosto uno spaccato di vita, segnato dall’inevitabile separazione di due amiche che diventano grandi in maniera poco (o troppo) ortodossa; per cui la Avallone, dopo essersi soffermata in maniera quasi pedante su questo distacco, fa riavvicinare Anna e Francesca che si ritrovano ormai quasi donne, e senza parole, dopo un anno di dolori ed esperienze che le ha inevitabilmente mutate.
Il tempo non ritorna e tutto quello che è successo non può essere cancellato; la Avallone ha scelto la via meno problematica, e più scontata e pessimista, per concludere il suo romanzo: Francesca vive ancora con dei genitori che sono assimilabili a due spettri, e fa la ragazza immagine; la famiglia di Anna ha perso il suo unico sostegno economico con la tragica morte di Alessio…
Qualcosa non torna, troppi dubbi rimangono sospesi, in attesa di una risoluzione, non c’è alcuna possibilità di redenzione, e l’autrice non lascia neanche intravedere uno spazio in cui esprime un’effettiva condanna.
Acciaio è un libro scritto con l’evidente scopo di diventare un film, è questa l’impressione che ci lascia. Quelli che leggiamo non sono capitoli, sono già scene, di qualità relativamente scarsa, ma che puntano su un forte impatto emotivo e potrebbero per questo motivo attirare un vasto pubblico.
Gli ingredienti per un bel melodrammone campione di incassi ci sono davvero tutti: un’amicizia dai contorni lesbo, una ragazzina che si fa “sbattere” da un giovane aitante, due tragedie familiari che si consumano contemporaneamente…ma tutto si chiude troppo frettolosamente, come se si volessero nascondere delle ferite aperte e sanguinanti con delle vistose ed inutili toppe.
Un bel prodotto letterario, un prodotto appunto, che non riesce a sollevarsi da una fastidiosa, commerciale, banalità.