mercoledì 11 agosto 2021

Prospettive metanarrative e parole resuscitanti: La forza nascosta e svelata delle Due vite di Emanuele Trevi.

 


Una delle principali caratteristiche delle opere narrative della letteratura italiana post sveviano-pirandelliana è  una  tendenza latamente metanarrativa.

Le narrazioni non si concentrano solo sulla trama ma riflettono in modo più o meno palese e stratificato su sé stesse e sui loro scopi.

Questo atteggiamento può spiazzare (addirittura infastidire)  il lettore visivo, concentrato sul plot e sui suoi sviluppi, e consacra le parole a rimanere principalmente  costruzioni di carta, pressoché intraducibili, se non  a scapito del loro significato più  profondo, in immagini o scene che possano avere piena vita fuori dalla pagina e fuori dalla testa dei lettori.

Ben inteso, la metanarrativa non è  un difetto né tantomeno un cervellotico eccesso delle opere  della letteratura contemporanea: è  una loro possibile  peculiarità, che non le impoverisce, ma ne rivela la vocazione prevalentemente e intensamente grafica e meditativa.

Due vite,  di Emanuele Trevi (Neri Pozza Bloom), vincitore del premio Strega 2021, appartiene a questa tipologia di opere squisitamente letterarie e metanarrative.

La breve narrazione romanzesca di Emanuele Trevi prende il via dall'evocazione delle figure di due suoi cari amici prematuramente scomparsi: Rocco Carbone e Pia Pera, entrambi scrittori.

Due vite è un romanzo di amicizia che sull'amicizia si fonda e per amicizia è  scritto. In esso, attraverso le parole dell'amico superstite rivive il  rapporto di dei tre autori.

Un rapporto tra tre giovani universitari che diventano adulti, le cui vite si incrociano e si allontanano. Ma che rimangono sempre profondamente legati.

Quella di Trevi è  una scrittura piana, costruita sui ricordi, con uno scopo rievocativo che si insinua tra le pagine per disvelarsi pienamente e dichiaratamente

ai lettori.

La scrittura è di fatto un esercizio resuscitante che ha un ruolo fondamentale nel perpetrare una delle due vite che ci sono assegnate.

La prima è quella biologica interrotta dalla morte terrena, la seconda prende corpo nei ricordi, ed è  qui che entra in gioco la coscienza metanarrativa dell'autore. I ricordi sono anch'essi mortali, fatti di sangue e carne, destinati a sbiadirsi e dissolversi con i testimoni che ne sono detentori, ma se questi sono fissati sulla carta perdono la loro inconsistente deperibilitá e divengono cose vive e sempre presenti davanti a chi le rievoca e a chi le legge: una foscoliana  garanzia di immortalità che trasforma la corrispondenza d'amorosi sensi in storie condivise con i lettori .

È la scrittura che immortala davvero le persone, perché  ne fissa la transitorietà e i cambiamenti  e ne consegna il ricordo ai posteri.

Due vite è  un romanzo breve, come è  breve qualsiasi vita terrena rispetto all'eterno fluire del tempo, ma consegna ed  eterna sulla carta liberatrice e racconta al lettore, che lettore deve essere e non spettatore, delle verità intangibili e perturbanti fatte di vita, di infelicità di amicizia che non muore con chi se ne va ma rimane per sempre.

È una lettura difficile nella sua apparente  scorrevolezza, perché non racconta, piuttosto resuscita.

Ed  è proprio questa la sua splendida, incontestabile, consapevole forza.

 

 Letizia Magro


martedì 3 agosto 2021

Lu cuntu di li Florio: La chiusura di un cerchio.

Riflessioni sulla Saga dei Leoni di Sicilia e sul loro inverno


1.Storie  che continuano. Cerchi che si chiudono
 

Il 24 maggio di quest'anno è stato pubblicato l'attesissimo seguito de I leoni di Sicilia di Stefania Auci: L'inverno dei leoni.

Il romanzo riprende la storia della famiglia Florio dal 1869 fino ad arrivare al 1950 e ne affronta la difficile parabola discendente che si dipana in un segmento temporale storicamente denso di avvenimenti.

Come la stessa autrice precisa nella sua postfazione,L'inverno dei leoni è un romanzo,[1] ed è importante precisarlo proprio per comprendere il valore di questa costruzione narrativa dalla scrittura limpida e scorrevole.

In questo segmento narrativo l'autrice è infatti riuscita a mediare magistralmente tra storia e narrativa, attraverso l'attivazione di due piani di scrittura visibili al lettore, ovvero le introduzioni meramente storiche alle singole sezioni del romanzo, e l' equilibrato intarsio di storia e storie che vedono come sfondo la città di Palermo e l'Italia tutta con qualche stralcio d'Europa.

In verità la tecnica narrativa non è cambiata rispetto al primo libro della saga. Ma avere a disposizione una più vasta documentazione storica costituisce un' importante e niente affatto semplice variabile per chi scrive e deve rimanere in equilibrio tra verità e verosimiglianza, infondendo vita narrativa e immaginando le emozioni di personaggi che sono stati  veri attori di una storia i cui segni sono ancora visibili ai nostri occhi.

La scelta di essere narratrice onnisciente permette alla Auci di entrare di volta in volta nelle anime dei suoi personaggi e di mostrarne i dubbi, le passioni e le incertezze, le forze e le debolezze. Li vediamo materialmente agire nel bene e nel male e li osserviamo anche mentre la contemporaneità dei loro tempi agisce, generosa o impietosa, su di loro.

 

2. Una parabola discendente

 

L'inverno dei leoni è  un romanzo discendente[2], che si apre in una  florida estate, nella quale tuttavia si percepiscono degli squilibri tra vita lavorativa e familiare dei personaggi, passando per un colorato autunno che ha i fasti del Decadentismo e della Belle epoque, precipitando nell'inverno dei fallimenti della famiglia che ha tanto dato a Palermo e alla Sicilia ma che non ha trovato nei suoi epigoni delle figure imprenditoriali carismatiche capaci di cavalcare i tempi da esse vissute[3] .

Iconiche e apparentemente opposte sono le due protagoniste femminili Giovanna e Franca, accomunate entrambe dal grande e sofferto amore per i propri mariti, padre e figlio, Ignazio, portatori del medesimo nome, ma diversi e quasi opposti nel  modo di affrontare i tempi in cui vivono e nel gestire la propria vita[4].

Il taglio del romanzo storico è più netto rispetto al primo volume della saga, ma questa vicenda che, nella sua dimensione pubblica,  possiamo vedere  e verificare tutti attraverso gli innumerevoli documenti storici a nostra disposizione, è teatro di un racconto a tratti corale, fortemente visivo[5] che scorre attraverso le parole che non sono mai né troppe né troppo poche e risultano di agevole lettura anche per chi non ama molto approcciarsi ai libri, e questo è  un grande merito che va riconosciuto all'autrice senza ombra di dubbio[6].

 

3. E tu, onore di pianti, Ettore, avrai,
Ove fia santo e lagrimato il sangue
Per la patria versato, e finchè il Sole
Risplenderà su le sciagure umane.
 

Ho intitolato, non a caso, questo breve percorso di riflessione critica Lu cuntu di li Florio e ho voluto di proposito usare gli ultimi versi dei Sepolcri foscoliani per arrivare alla parte conclusiva della mia disamina.

Sono tanti i morti che aleggiano in questo romanzo.Antenati e patriarchi, innocenti, anime ferite e anime grandi. Non è un caso se uno degli ultimi scenari narrativi sia un sepolcro, in cui l'ultimo Florio dialoga con i suoi antenati e piange i suoi cari in una difficile e dolorosa corrispondenza d'amorosi sensi.

Lui ormai  per il mondo degli affari  è nuddu immiscatu cu nnenti...non gli è rimasto nulla delle immense ricchezze  costruite  e accumulate col il lavoro  da suo nonno e dal padre, anche la sua casa è  stata distrutta … ma il mito del suo cognome e delle imprese compiute dai suoi portatori non può  essere cancellato, diventa storia da raccontare, "cuntu" da ascoltare, romanzo da fissare  sulle bocche e sulle pagine che lo tramanderanno.

Questo è il merito indiscutibile dell'intera saga dei Florio, non tanto raccontarne una storia vera in quanto documentata[7], quanto piuttosto riscrivere una verosimile mitologia familiare che sia alla portata della sensibilità narrativa dei lettori-fruitori.

Perché le opere fisiche che modificano il paesaggio sono destinate a finire distrutte dalla furia dei tempi che passano. Ma l'armonia dei racconti vince sempre "di mille secoli il silenzio" passando di memoria in memoria;  e attraverso questa complessa e ricca costruzione scenico-narrativa la vicenda dei Florio  è  messa in condizione  di diventare "cuntu" di tutti.

 

LettureCreative-Letizia Magro


[1] Come  del resto anche I leoni di Sicilia

[2] É quasi possibile disegnare una vera e propria parabola durante la lettura

[3] E non solo per una strana sorte avversa, quasi una maledizione antica che trova le sue radici nelle parole pronunciate da Mattia, sorella dei primi Paolo e Ignazio Florio nel primo romanzo ( cfr.  I leoni i Sicilia, Milano, Editrice Nord, 2019, p. 95) , ma anche per una grande immaturità dei tempi in cui è  impensabile ad esempio immaginare che una donna possa avere capacità imprenditoriali.

[4] Il fatto di possedere delle immagini fotografiche e dei ritratti di questi protagonisti ci permette di animare, avvalendoci dell'immaginazione, corpi con delle precise fattezze, che nella scrittura sono appena tratteggiate  in quelli che sono i loro elementi essenziali, occhi, capelli, a favore di una più profonda indagine caratteriale

[5] Continuo a pensare, e non è una critica negativa, che sia pronto  per essere trasformato nella sceneggiatura di una fiction.

[6] Penso che, con una buona preparazione dei docenti, possa essere addirittura un buon libro di narrativa già  dalla terza media, e lo è  sicuramente nelle scuole siciliane.

[7] Del resto non finiremo mai di dire che questo è solo un romanzo,un cuntu ( racconto) , alla siciliana, appunto.