sabato 16 aprile 2022

Letture con l'anima: Via col vento come esperienza metacognitiva.


 

Ci sono voluti circa quattro mesi, una lettura infinita, lenta, meditata e perlopiù  notturna, ma ho realizzato il mio sogno trentennale: leggere GONE WHIT THE WIND (per dirlo all'italiana VIA COL VENTO) il romanzo di Margaret Mitchell da cui è  stato tratto uno di quei filmoni chilometrici che, a partire  dai miei otto anni di età, avrò visto e rivisto almeno cinquanta volte.

Questa NON sarà una recensione (recensire un Pulitzer del 1936  sarebbe giusto un po' ridondante) sarà piuttosto una sorta di ricordo-racconto che, osservando la storia di carta di Rossella O'Hara e Rhett Buttler,  riflette e narra il valore di una simile scelta di lettura.

Penso  di aver visto  Via Col Vento di Victor Fleming, per intero, per la prima volta, intorno agli otto - nove anni d'età, e non mi sono addormentata neanche un secondo.

Mi innamorai di Vivien Leigh, dei suoi occhi verdi e dell'abito bianco e verde indossato alle Dodici Querce. Mi concentrai sui titoli che raccontavano la guerra di secessione americana e indagai per i fatti miei cosa fosse successo negli Stati Uniti nel 1861. Simpatizzai per Rhett Buttler e per la dolce Melania Hamilton malsopportando invece quel bacchettone biondo di Ashley Wilkes.

 Quando di lì  a poco i miei genitori comprarono un videoregistratore, mi attrezzai per registrare questo bel filmone e cominciai a guardarlo e riguardarlo, anche a puntate. Sapevo perfettamente dove interrompere la visione per non stancarmi troppo.

Il culmine della mia passione lo raggiunsi quando, in terza media, proposi alla mia professoressa di storia di portare a scuola un film raccontasse guerra di Secessione. Portai le mie adorate videocassette di Via col vento e godetti di una visione del film in aula magna, su un maxischermo di discreta grandezza. Non so dire quanto fosse entusiasta la mia profesoressa, ma io ero letteralmente elettrizzata.

Ricordo ancora la visione della fiction Rossella (1994) che avrebbe dovuto concludere con un lieto fine, la vicenda narrate nel film. Non mi piacque, ne ho la registrazione ma non l'ho più  rivista.

Ho acquistato nel 2013 il bluray di Via col vento restaurato e ho usato la versione in lingua originale per ripassare inglese in vista dell'orale del concorso a cattedra, ma non avevo mai provato ad acquistare il libro di Margaret Mitchell; io, che ho sempre creduto che nei libri ci fosse di più rispetto alle loro riduzioni cinematografiche e che me lo sono continuamente dimostrato con la lettura di Harry Potter,  della Storia infinita, e di tanti altri testi più o meno corposi, diventati film.

 Non era il blocco del lettore ad impedirmi di affrontare Via col vento, era la pigrizia della fruitrice delle storie carta obnubilata dal fascino di una  faticosa pellicola che nella sua testa ( e non solo) era già lei un'opera letteraria fatta di celluloide.

 


Via col vento è  un libro di oltre mille pagine. A dirla tutta è  strutturata in sessantadue capitoli divisi in cinque parti. Insomma, è uno di quei libri che  comunemente si definiscono "mattoni", è stato scritto  da una giornalista, negli anni trenta del novecento, e ha l'aggravante di non definirsi più  di tanto un classico, in quanto, pur meritando questa definizione, è diventato suo malgrado lo screenplay ufficioso dell'omonimo famosissimo film che ha ispirato.

Chi legge oggi Via col vento  dopo aver avuto il coraggio di sciropparsi tutto il film, ha solitamente ben chiara la sua trama, la riconosce e l'ascolta tra le pagine che riecheggiano, talvolta con impressionante fedeltà, le immagini di celluloide, e se è già  abbastanza faticoso per uno spettatore  contemporaneo guardare un film che dura duecentotrentotto minuti, avventurarsi nella lettura di un mattone di tal fatta appare, non a torto, un'impresa titanica.

Mi sono  cimentata con entusiasmo nella lettura  di una vicenda che credevo di conoscere alla perfezione e che si dipana in dodici lunghi anni  di grandi cambiamenti storici e sociali per gli Stati Uniti.

 Le  macroscopiche differenze rispetto alla pellicola del 1939 sono abbastanza tipiche: una maggior articolazione delle varie scene che alternano e fondono descrizione e narrazione in un continuo gioco di punti di vista; un   maggiore numero di personaggi secondari di un certo spessore;uno studio più  attento e articolato delle fogure principali, indagate con grande perizia narrativa; le tre maternità di Rossella e le figure (poco definite ma sempre avocate nella scrittura) dei suoi tre figli,frutto degli altrettanti matrimoni da lei contratti.

Tuttavia sono davvero notevoli le somiglianze tra film e libro: intere scene e dialoghi non hanno subito adattamenti dalla carta alla scena. Via col vento di carta, è senza mezzi termini la sceneggiatura di Via col vento di celluloide in un'impressionante sovrapposizione di piani evocativi tra pagine e scene.

Nel mondo di carta emerge con nettezza la figura della protagonista.

Rossella è una femminista ante litteram,  sostiene gli schiaffi di una vita violentata dalla grande storia,  ricostruisce con tenacia il suo mondo fatto a pezzi dalla guerra  non facendosi  scrupoli davanti a nessuno, ma  nello stesso tempo mostra un totale analfabetismo a livello sentimentale che si ripercuote dolorosamente nella sua sfera privata di donna, madre e amante, il suo " Ci penserò  domani" è un vero è proprio mantra che l' accompagna in tutta la vicenda e l'aiuta a riorganizzare di volta in volta la sua vita; Rhett Buttler è l'uomo a lei predestinato come sembra indicarle anche una profezia di Mammy, all'inizio della vicenda La loro affinità  è  indubbia ma Rossella la trascura per correre dietro al  fantasma di un'infatuazione incarnato da Ashley, l'inetto, l'uomo fragile e irresoluto a livello sentimentale, l'uomo fedele al passato che non riesce a reinventarsi nel presente,  e che tuttavia è sostenuto e protetto  dalla grande anima della dolce fragile e forte Melania, incarnazione dell'amore inteso come agape universale.



 Via col vento è un romanzo storico e sentimentale dalla trama quasi ipertrofica, un lungo viaggio nella storia e nelle storie, in cui la fine di un'epoca si fonde a quella dell'innocenza dei protagonisti: Rossella ha sedici anni quando entra in scena e ne esce all'età di ventotto. La bambina che si è  apparentemente conservata nella sua infatuazione per Ashley ha fatto spazio alla donna ferita e completa, abbandonata dall'unico uomo e dalla sola amica che abbiano compreso e amato le complesse profondità della sua anima.

Leggere un'opera così imponente significa entrare senza mezzi termini in un mondo che non c'è più, edulcorato in tante sfumature della narrazione ma sempre onnicomprensivo nella sua struttura.

Chi me lo ha fatto fare? Una domanda che è stata ricorrente in questi quattro mesi, e che trova una risposta nella coscienza che la lettura di un mattone del genere è un'enorme risorsa per l'immaginario di chi l'affronta, perché in un contesto come quello di Via col vento ci si deve lasciare andare all'immaginario, e poco importa se questo  è  già segnato dalle scene e ha i volti e le voci dei personaggi del film, perché le pagine lo arricchiranno, lo tramortiranno con altre inaspettate scoperte narrative, chiuderanno insomma un cerchio.

Leggere un grande romanzo significa sempre e comunque entrare in un altro mondo, ed è  dolce potervi rimanere per tanto tempo, osservarne i cambiamenti, vivere tra i suoi personaggi.

Quella di Via col vento è una lettura che ha  un profondo valore metacognitivo, perché permette di riflettere sul valore intrinseco delle narrazioni romanzesche, intese non tanto e non solo come brevi episodi da bere in una giornata ma come vicende sontuose, piene, costruite, fatte di personaggi, paesaggi e  di storia che innerva le loro storie; e fa riflettere anche sul nostro rapporto con la lettura in sé e con noi stessi che, come afferma Colum McCann, viviamo in una " sorta di giostra in accelerazione"[1]ma abbiamo bisogno di fermare questo tempo forsennato attraverso le storie che ci ricollocano al suo interno.

VIA COL VENTO sarà anche un mattone di carta, ma l'esperienza di lettura che ne deriva  dimostra il grande valore che ha ancora oggi e forse oggi più di ieri, per l'immaginario talvolta troppo frettoloso dei lettori.



[1] Cfr. C. McCann, L’universo dentro una sequoia, in “Sotto il Vulcano” n.1, Novembre 2021.


 

martedì 11 gennaio 2022

Tra storia e introspezione, il romanzo di Publio Clodio

 



Quando, qualche mese fa, sono stata contattata dalla pagina di Instagram IlprofessorX che mi offriva la possibilità di leggere una storia tutta romana conservata nei miei ricordi di studentessa universitaria e reiterata negli anni attraverso la lettura di alcune fonti latine, non mi sono ovviamente tirata indietro.

Il periodo storico ed il personaggio indagati da G.Middei  nel suo romanzo d'esordio Clodio (Navarra editore 2021)  sono a dir poco complicati, considerando che bisogna sempre fare i conti con le interpretazioni storiografiche latine orientate alla celebrazione dei difensori della Respublica degli optimates e in generale alla difesa di tutto ciò che non fosse perturbante per lo Stato Romano ( storiografia della classe dominante).

Detto ciò quella lanciata da Middei è una vera e propria  sfida narrativa che intreccia con buona perizia due tipologie di romanzo: quello tipicamente storico e quello psicologico e introspettivo dai risvolti filosofici.

Ambienti e attori sono ritratti con grande precisione iconografica: il teatro delle azioni e quello delle anime dei personaggi si intrecciano in una climax ascendente e indagatoria che, narrando e indagando il punto di vista di Clodio, appartenente alla nobile famiglia dei Claudii ma tacciato di incapacità dal padre in punto di morte[1], si pone in posizione alternativa rispetto a quello dominante della Respublica romanorun.

Clodio non è un romanzo semplice, non tanto per la sua distanza temporale dalla nostra contingenza, presto diminuita dalle  attualissime determinazioni del protagonista che cerca con ogni mezzo si sconfessare la propria supposta inettitudine sociale, quanto piuttosto per la sua  ricchezza indagatoria che può  essere superficialmente  scambiata per prolissità ma ne è l'autentica cifra.

I naturali squilibri che possono verificarsi  tra vero e verosimile, tra mondo e anime dei personaggi diventano preziose immagini narrative che ridisegnano il complesso periodo della Roma dei triumviri e di Cicerone, riconsegnandola anche ai suoi attori non protagonisti e facendola rivivere davanti agli occhi del lettore.

Clodio è indagato ed agito il tutte le sfaccettature della sua anima: emerge un personaggio chiaroscurale dalle idee innovative che rimane incompreso dalla storia dei dominatori, ma che non  merita di contro la nostra esecratio

Insieme a lui la figura quasi speculare della moglie Fulvia[2], nella quale si si rifrangono le sue fragilità e violente debolezze di uomo, e che riflette, completa e giudica nella complessità fragile della sua anima di domina quella tormentata del suo compagno.

Quella di Clodio è  senza dubbio una  complessità narrativa e riflessiva che, ad un'attenta lettura,  va oltre  la sua epoca e si tinge di un' universalità senza tempo.

 

 



[1] Antenato ante litteram degli inetti decadenti.

[2] Passata alla storia come la moglie di Marco Antonio, sposato addirittura in terze nozze, ma che fu sposata con Clodio per oltre dieci anni, fino al suo assassinio.