Un blog? Sarebbe più esatto definirlo un insieme di spunti, sensazioni, emozioni, tutte date dalla lettura. Poesie, romanzi, racconti, non fa differenza, l'importante è far scorrere nelle parole che leggiamo il nostro sangue per far vivere ogni emozione che una buona lettura può offrirci! =)
lunedì 15 dicembre 2014
Da LiveSicilia: Scoprire un Nobel non basta Duepunti non farà più libri
http://livesicilia.it/2014/12/09/scoprire-un-nobel-non-basta-duepunti-non-fara-piu-libri_574996/
giovedì 11 dicembre 2014
Diario di bordo del Patatè del 7 dicembre 2014 - In tutte le migliori famiglie...
In
tutte le migliori famiglie si instaurano dei momenti di riflessione, per
cercare di analizzare quali sono i punti deboli del percorso che si sta
affrontando, e impegnarsi per migliorare o modificare le strategie che si sono
adottate, e che forse, sono risultate poco efficaci...
Sembra
un discorso ospedaliero, ma la verità è che è un po' difficile metaforizzare
cosa è successo nella seconda riunione del Patatè, avvenuta lo scorso 7
dicembre...qualche defezione giustificata (il 7 dicembre è pur sempre vigilia
di festa...), qualche promessa non mantenuta, qualche faccia nuova
interrogativa e incuriosita...e un serpeggiante sussurrio, che palesava un
piccolo doloroso fallimento: quasi nessuno aveva letto il suo classico... Gli
elementi c'erano tutti per smontare baracche e burattini e tornare indietro, al
porto dal quale questa piccola avventura è cominciata...ma sarebbe stato uno
sbaglio: meglio sedersi tutti attorno ad un tavolo e porci delle domande,
rischiando di andare un po' fuori tema, ma cercando di chiarirci le idee sul
perchè di quello che, fino a questo momento, potrebbe sembrare "un
fiasco".
Di
fatto abbiamo divagato, e parecchio, complici anche le new entry incuriosite
dalla nostra iniziativa; abbiamo fantasticato colorando i nostri interrogativi
di "Se", di "Forse" e di "Ma", ma poi abbiamo
magicamente ritrovato la nostra bussola ponendoci forse la più scontata ma
anche la più necessaria delle domande: "Perché i classici che avevamo
proposto, brevi e non particolarmente impegnativi, non sono stati letti o
riletti dai presenti? Perché ci siamo bloccati davanti alle loro vetuste e
affascinanti pagine?"
È
venuta fori una piccola grande verità, che era in fondo quella che speravamo di
scardinare: queste pagine fanno un po' paura, la parola classico fa un po'
paura, quasi fosse sinonimo di auctoritas
sulla quale non si ha il diritto di divagare e di sognare, perchè quelle pagine
sono state indagate, scandagliate, interpretate e quasi denudate da critici su
critici, per cui il nostro pensiero e più ininfluente di una goccia d'acqua che
scivola isolata nel mare.
Fuori
dalla scuola e dall'accademia il classico non serve a nulla, su di lui è stato
detto e scritto tutto, e quel TUTTO, sintetizzato nei manuali di scuola o
peggio nei deliri di qualche accademico,
per una persona di cultura media è servito per farsi interrogare o per
svolgere un esame durante la sua carriera scolastica.
È
vero, il classico non serve a nulla, non ha una funzione pratica, e questa sua
presunta inutilità è stata duramente accentuata dal sistema scolastico e
accademico. Perché scuola ed università sono fatte da esseri umani, e gli
esseri umani talvolta smarriscono il senso della bellezza perdendosi dietro al
nozionismo altrui...eppure quella bellezza è sempre là, e basta poco per
riappropriarsene: una lettura ingenua e senza pregiudizi, che metta al centro
le emozioni che suscita un libro hic et
nunc...senza pensare che quelle pagine le ha scritte Kafka, Puskin o
Voltaire. Ci piacerebbe che succedesse questo, non pretendiamo di fare i
professori o i critici accademici... vogliamo essere liberi pensatori che in
queste prime tappe del nostro viaggio, riscoprono senza vincoli, e in
un'atmosfera calda e amichevole, alcune
pagine definite classiche perché hanno superato le barriere del tempo,
racchiudendo in sè stesse delle emozioni infinite e sempre vive, che hanno
bisogno di noi, e della nostra serena ingenuità per continuare a vibrare, e non
devono cristallizzarsi nella furia intellettualoide della critica strutturata e
strutturante...
Ci
penseremo su, forse ci inventeremo una gara...ma non molleremo...questa pagina
del diario di bordo non sarà quindi l'ultima del nostro viaggio, che non è
certamente semplice...ma che vuole approdare a qualcosa di bello...
Alla
prossima amici!
L.M.
lunedì 10 novembre 2014
Diario di bordo del Patatè del 9 novembre 2014
Il 9
novembre 2014, presso la sede del Piccolo teatro Patafisico di Palermo, si è costituito
il gruppo dei Patatè letterari: uno spazio fisico e intellettuale di condivisione,
i cui partecipanti, mettendo insieme suggestioni ed emozioni davanti a una
tazza di buon thè, hanno deciso di
intraprendere insieme un percorso di lettura creativa.
«Eccoci
davanti ad uno dei soliti, banali e noiosi circoli di lettura, che vogliono
darsi un tono con appellativi accattivanti ma poco convincenti...» Lettore, ti
ho sentito e riesco anche ad interpretare i tuoi dubbi e le ragioni del tuo
diniego: pensi che la lettura sia un'esperienza intima che non va
necessariamente condivisa, trovi che riunirsi a parlare di lettura sia un
passatempo un po' snob se serve unicamente a mettere in mostra una qual mania
citazionista che ha del dozzinale; beh, certamente tali pensieri non ti hanno
fatto desistere dall'aprire questa pagina e dal cominciare a leggere, quindi,
ora che ti ho smascherato non provare a fermarti, soddisfa a pieno la tua
curiosità leggendo questo resoconto, magari alla fine cambierai idea...e la
prossima volta sarai dei nostri anche tu...
Dunque,
abbiamo intrapreso un percorso, che, come tutti i bei viaggi che approderanno
ad una qualche meta, deve essere documentato: un gruppo di amici, alcuni non lo
erano ma, da ieri, lo sono diventati (anche
se, magari, ancora non lo sanno) le luci soffuse, nessun diaframma e una (non)
domanda per iniziare: Noi e i libri.
Inutile
in questa sede citare titoli, più costruttivo riportare le suggestioni che ci
hanno accompagnato e che hanno segnato la prima tappa del nostro viaggio:
abbiamo stabilito che a livello emotivo non può esistere IL libro che ci ha
cambiato la vita, e ci ha trasformato in lettori, sebbene possa esistere a
livello storico, quello sì, ma diciamolo pure, non è così importante...
Molto
più importante è il rapporto totalizzante che abbiamo sviluppato con I libri,
non privo di un carattere fortemente erotico e passionale, che in determinati
periodi della vita può anche essere incontrollabile ma che è fondamentale e
bruciante...
Amore
per le parole, per il modo in cui sono tessute insieme (testo- textus) , in quella magia evocativo -
descrittiva fatta di significati profondi nascosti e palesati nei suoni, nei colori
e nei sapori evocati in ciascun libro in modo diverso e unico: e non stiamo
parlando necessariamente di classici o di libri che andrebbero riletti, analizzati,
contestualizzati o decontestualizzati, ci sono racconti che leggeremo svariate
volte nella nostra vita, e storie che rimarranno lì, fisse nel ricordo di un
momento particolare e non le rivedremo mai più... tuttavia nessuna citazione è
veramente necessaria, ogni testo (se letto con cuore innamorato) lascia
un'impronta più o meno profonda, ci impressiona come pellicole fotografiche e
resta in noi... I libri SIAMO noi, noi
siamo il loro sangue (lo diceva il buon Nietzsche) ascoltare una citazione
comodamente seduti al tavolino, ha confermato questa anaforica (violenta e sanguigna)
impressione.
Sia
ben chiaro, proprio perchè eravamo tra amici, vecchi, nuovi e presunti, questa
scoperta si è svolta in modo naturale, con qualche distrazione e naturale
obiezione, intervallata da fresche risate neonate e da battute divertite e
disincantate...non è stato forse in primo passo di una creazione? Abbiamo
confermato di amare in modo fisico la lettura, di non considerarla fine a se
stessa, di non ridurla ad un banale atteggiamento cumulativo ("Io di libri
ne ho letti un sacco e tu nooo!!!!" "Io ho un taccuino in cui appunto
i titoli di tutti i libri che ho letto!"), nè tantomeno citazionista...e
abbiamo cominciato a scavare un solco orizzontale da seguire, inseguire e
seminare... un mese di tempo per (ri)scoprire un classico (UNO SOLO, E ANCHE
BREVE) internazionale, uno di quelli che ci sciroppavano a scuola...cinque titoli
da sorteggiare (sì sorteggiare, per giocare un po') uno per ciascuno (per
provare a formare cinque gruppi omogenei nella loro naturale disomogeneità): RUSSIA
Puskin La figlia del capitano, AREA
ISPANICA G. García Marquez L'amore ai tempi del colera, FRANCIA Voltaire Candido,
INGHILTERRA G. Orwell La
fattoria degli animali, AREA MITTELEUROPEA F. Kafka, la Metamorfosi.
La
nostra riunione si è sciolta così, con un impegno e un sorriso; nel mezzo della
lettura indicheremo anche qualche suggestione da seguire per rispondere a due
semplici domande, che ci permetteranno di continuare a costruirci come lettori
creativi...(ci perdonino i libertini, ma per costruire un percorso, qualche
paletto lo dobbiamo pur porre...)
Buona
lettura o rilettura amici, ci vediamo il 7 dicembre...
E a
te, scettico curioso lettore di questo diario di bordo non mi resta che dire:
benvenuto, se vorrai unirti a noi...sappi che ti aspettiamo, saremo tra amici!
Un
caro saluto
L.M.
Per saperne di più https://www.facebook.com/groups/patateletterari/
Etichette:
classici,
gruppi di lettura,
lettura creativa,
Nietzsche,
Palermo,
Piccolo teatro patafisico
Ubicazione:
Palermo, Italia
martedì 4 novembre 2014
lunedì 8 settembre 2014
La trilogia delle Cinquanta sfumature ovvero: Anastasia Steele e Christian Grey,storia di una Cenerentola erotica e del suo principe (azzurro?)
...Una "stroncatura" scontata...
Avevo promesso a me stessa e alla mia biblioteca personale che non
avrei mai acquistato la trilogia delle Cinquanta sfumature ideata dalla signora James,
tuttavia tale proposito non equivaleva al rifiuto categorico di leggerla, e dal
momento che nell'era del digitale è diventato semplice procurarsi senza spreco
di carta e denaro un libro in formato pdf
o in e-pub, specialmente quando si tratta di un prodotto di consumo su
larga scala, ho deciso di accettare la graziosa e androidiana compagnia di Anastasia Steele e di Christian
Grey le cui vicende si sono dipanate, per un periodo di tre settimane, sul
display del mio smartphone...
«Che orrore!» Potrà subito nicchiare qualche intellettuale puritano (
più che altro di sesso maschile) amante della bella (e soprattutto della vera) letteratura,
«sprecare il proprio prezioso tempo dietro un romanzo bollato come "romantico-erotico"
che di letterario - almeno a prima vista, ma, oserei dire, anche a seconda - non ha proprio nulla...» Posso
subito affermare con certezza che non credo di aver perso tempo, mi sono solo
presa una pausa dalle letture impegnate per analizzare quello che è di fatto
diventato un fenomeno, se non proprio letterario, almeno mediatico, sapendo di possedere
freddezza e strumenti critici a sufficienza per poter esprimere un giudizio
obiettivo, oltretutto la dematerializzazione offertami dal sistema android, mi ha fatto scoprire (e apprezzare) una maniera di lettura più snella e senza pretese, che si
è rivelata perfettamente funzionale a questo genere di romanzetti.
Ci sono volute tre settimane, ma a dirla tutta, ci si potrebbe mettere
anche meno tempo: La storia di Anastasia Steele e Chistian Grey è di fatto un'elegante
accozzaglia di luoghi comuni fiabeschi sapientemente
cuciti dall'autrice, che irretiscono con
facilità la lettrice: Anastasia è una timida e brillante studentessa di ventuno anni, laureanda in
letteratura inglese, figlia unica, appartenente a una famiglia piccolo
borghese, è carina senza essere particolarmente vistosa, non è troppo romantica
o sdolcinata e soprattutto non ha mai "conosciuto un uomo"
biblicamente parlando. Christian è il classico giovane imprenditore rampante di
bell'aspetto e maniaco del controllo, figlio adottivo di genitori benestanti e
amorevoli che non sono riusciti a sanare le ferite causategli da un passato
oscuro fatto di maltrattamenti, canalizzate tuttavia in una relazione con una
donna più grande di lui ( che, guarda caso, si chiama Elena, sarà forse uno scontato
riferimento colto ad altre sensuali figure letterarie che portano il suo stesso
nome?) la quale dai sedici ai ventuno
anni di Christian, è stata il suo mentore sessuale e gli ha insegnato uno stile
di vita volto alla dominazione.
Se Anastasia non ha mai avuto alcun genere di relazione sentimentale,
Christian da buon protagonista maschile, bello e tormentato quale deve essere, non
si è mai innamorato, ha solo avuto una sapiente formazione sessuale che si è affinata,
previa firma di un regolare contratto con tanto di clausole esplicative, con una quindicina di donne, le cosiddette
"sottomesse", ovvero delle povere "disgraziate" che sono state
oggetto delle più inaudite (e scontate) perversioni sadiche del fascinoso e tormentato
protagonista maschile della trilogia.
I due si incontrano per caso, si
piacciono, e si innamorano pressochè immediatamente, con tutte le problematiche
che questo sentimento (così inatteso?) può provocare, ovvero con un continuum di masturbazioni mentali
sulla liceità delle loro emozioni, che
mandano all'aria qualsiasi contratto, e che fra alti e bassi li porterà all'happy end con tanto di prole al
seguito.
Una storia che si divide in tre
tomi, ma che di fatto si consuma in meno di cinque mesi, in cui l'educazione
sessuale di Anastasia la fa chiaramente da padrona: il sesso "alla
vaniglia" ovvero quello praticato da più della metà dei comuni mortali,
con tutte le sue posizioni più classiche, è declinato in pressoché tutti i
capitoli dei tre romanzi, con dovizia di particolari, a questo si aggiungono
delle brevi e ben poco folgoranti esplorazioni del sesso estremo, anch'esse
particolarmente scontate nel loro supposto estremismo strumentale (bende,
lacci, frustini e giocattolini vari che non impressionano un granché). Fa da contraltare
alla singolare educazione di questa cenerentola erotica, quella del principe
(azzurro?) Christian, maestro del piacere iniziato all'amore, con tutti i
turbamenti che questo comporta, i quali sono (ovviamente) psicanalizzati dietro
le quinte dal suo "strizzacervelli" di fiducia: il buon dottor Flynn.
Di fatto la scorrevolezza della
trilogia non è data tanto da fattori di immedesimazione con il personaggio
femminile, seppure il fatto che sia Anastasia a raccontare la sua storia in
presa diretta (il narratore interno e autobiografico è proprio una furbata) rappresenti
un chiaro segnale mediatico di chi siano le destinatarie di quest' opera. Lo
scopo è piuttosto quello della comunione simpatetica con entrambi i
protagonisti: insomma ci troviamo nella testa e nel corpo "sempre
pronto" di Anastasia, ma manipoliamo i sentimenti e le fragilità del buon Christian, che, innamorato cotto qual
è, fa quasi tenerezza nei tentativi di
archiviare il suo passato di
bambino abusato e di intoccabile Dominatore (dove con la parola
"dominatore" si intende "uomo che, previo regolare contratto,
compie prodezze sessuali, senza farsi coinvolgere da alcun sentimento e senza
farsi sfiorare con un dito") e di canalizzare ciò che prova non solo nelle
sue fantomatiche erezioni, ma nella vita di tutti i giorni, costellata di una
serie di sconcertanti "prime volte". Inoltre, essendo ricco sfondato,
le sue esternazioni corrispondono necessariamente al suo stile di vita: quindi via
libera ai regali costosi, alla possibilità di raggiungere Anastasia in
qualsiasi posto si trovi grazie ai potenti mezzi di trasporto a sua disposizione
e a una plateale proposta di matrimonio
che si materializza dopo poco più (o poco meno) di un mese di conoscenza.
...e una riabilitazione (?)...
Osservando attentamente la
trilogia di Cinquanta sfumature è possibile cogliere alcune costanti che ne
garantiscono la leggibilità mantenendo alto il livello di suspense e garantendo un affidabile patto narrativo con i lettori.
Nessuna necessità di ritornare indietro: Lo stile di scrittura della
James fonde il linguaggio dei romanzi rosa
di alto consumo (Harmony, per intenderci) con un forte intento
iconografico che indugia nei particolari, per cui i nodi narrativi della
vicenda si imprimono con facilità nella mente dei lettori; inoltre
l'inserimento della scrittura epistolare che si esplica nello scambio di e-mail
e di sms dei due protagonisti, offre
una precisa scansione temporale della storia, oltre ad essere un ottimo
artificio straniante che permette di indagare (in modo molto tradizionale) gli
stati d'animo di entrambi i protagonisti.
Riferimenti letterari espliciti: Abbiamo già accennato alla singolare questione onomastica che vuole che
l'antagonista femminile per eccellenza di Anastasia si chiami Elena, come la
più famosa delle seduttrici letterarie(e del resto anche il suo soprannome
"Mrs Robinson" fa riferimento a un film culto per quanto concerne la
seduzione, ovvero Il laureato); anche
Jack Hyde porta un cognome che vuole enfatizzarne la natura perversa (come non pensare a Dottor Jekyll e Mr Hyde?) Anastasia
ha invece il nome della principessa Romanov protagonista dell'omonimo film
Disney, e il nome "Christian"
ha in sé una chiara nota di filantropia. Inoltre la protagonista è una studiosa
di letteratura inglese, e il più volte citato romanzo di Tomas Hardy Tess dei d'Urbervilles funge da cartina al tornasole della sua
vicenda.
Questione di tempi: Abbiamo già accennato al fatto che la vicenda
si consuma in un lasso di tempo relativamente breve, come del resto succede in
tutte le migliori fiabe, il tempo della storia di fatto si dilata in quanto
osservato dal punto di vista della protagonista che assapora e riporta
minuziosamente le sue esperienze, con un andamento narrativo talvolta
sfiancante (che "eleva l'ordinario
allo straordinario", per dirla con le parole della protagonista),
specialmente quando si sofferma sulle sue esperienze sessuali, che sembrano
eccessive anche per quanto riguarda il loro numero, ma che se collocate nel fiorire di un nuovo rapporto sentimentale,
perdono qualsiasi eccezionalità.
Il lato oscuro non esiste: Christian
Grey è il protagonista maschile di una saga che
vuole essere soprattutto romantica, per cui ogni sua perversione deve essere
giustificabile e perdonabile:non si fa toccare perchè da bambino è stato
maltrattato, la sua educazione sessual-sentimentale è stata compiuta da una figura
materna che ha quindi abusato di lui senza il suo reale consenso, in caso di
necessità le sue ex sottomesse hanno goduto del suo aiuto e della sua
protezione anche dopo lo scioglimento del contratto.
Di fatto Christian è ricco ed è un filantropo, spende i suoi soldi per
soddisfare ogni sua esigenza, anche la
più frivola e nello stesso tempo destina
molti dei suoi averi per la realizzazione di progetti ecosostenibili e per
aiutare le popolazioni di paesi più sfortunati. Una figura del genere è in
realtà priva di lati oscuri, e le cinquanta sfumature di cui si vanta sono più
che altro di natura umorale. Inoltre il suo innamoramento adolescenziale per
Anastasia lo rende ancora più simpatico al lettore per la sua palese incapacità
di dosare le emozioni. Da questo punto di vista è molto interessante la
conclusione di Cinquanta sfumature di rosso, in cui la James riscrive il primo capitolo
della trilogia avvalendosi del punto di vista di Christian: attraverso questa
lettura incrociata si recuperano di fatto alcuni aspetti caratteriali di questo
contemporaneo principe azzurro (o "cavaliere bianco", come lo
definisce Anastasia).
Antagonisti necessari (Propp
docet): il giustificabilissimo tasso erotico di Cinquanta sfumature di grigio, ha bisogno di essere stemperato da qualche
nota giallo-noir per cui, se nel
primo libro i personaggi che creano un qualche turbamento alla protagonista
sono solo dei nomi ( "Mr. Robinson" ovvero Elena Lincoln, Jack Hide,
l'ex sottomessa Leila) nel secondo e nel terzo episodio della saga acquistano
un certo spessore, sebbene il loro intento non sia specificamente quello di
rovinare la storia di Christian e Anastasia, le antagoniste femminili sono semplicemente delle disturbatrici
adrenaliniche, Hyde è invece un
sabotatore violento, ma anche in questo
caso gli intenti dell'autrice sono chiarissimi: Leila ed Elena rappresentano la
materializzazione del passato "erotico-sentimentale" di Christian nel
quale Anastasia deve necessariamente specchiarsi per comprendere a pieno la sua
specificità e unicità di donna amata; la crudele perversione criminale di Jack (
che oltretutto è anche lui orfano e ha vissuto per un breve periodo nella
stessa famiglia affidataria di Christian) serve a confermare la relativa
onestà e purezza d'animo del protagonista maschile, a prescindere dalle sue
abitudini sessuali.
Gravidanze (im)previste: Il matrimonio lampo tra Christian e Anastasia
è giustificabilissimo data la loro posizione economica la quale permette il
coronamento di un sentimento che, con tutte le sue implicazioni erotiche, deve
necessariamente definirsi genuino. La gravidanza della protagonista invece...è
altrettanto prevedibile e auspicabile per arrivare al necessario happy end della trilogia: Anastasia
dapprima dimentica di prendere la pillola anticoncezionale e poi procrastina
senza neanche rendersene conto, la data dell'iniezione contraccettiva
consigliatale dalla ginecologa, ma di fatto sembra che i contraccettivi non le
abbiano mai fatto effetto, per cui la giovane rimane incinta praticamente
subito, senza rendersene conto. La gravidanza spazza via le ultime barriere
sentimentali innalzate dal buon Christian che, come da copione, in un primo
momento non la prenderà bene, ma in seguito, travolto letteralmente dagli
eventi che metteranno anche in pericolo la vita del suo grande e unico amore,
si ravvedrà. La dimensione di coppia lascerà quindi il posto a quella
familiare, con la nascita del piccolo Ted e la nuova gravidanza di Anastasia,
due eventi gioiosi che coroneranno l'amore dei giovani protagonisti lasciando tuttavia spazio alla loro intimità
di coppia (anche a quella più spinta).
Una fiaba per adulte: La trilogia di Mrs. James è senza alcun
dubbio un prodotto commerciale di qualità relativamente mediocre (il termine "mediocre"
vuole essere privo di accentuate sfumature dispregiative), ma ben strutturato;
prova ne sia il fatto che Cinquanta sfumature di grigio è diventato
un film che di certo attirerà moltissimo pubblico, ma che, come tutti i
riadattamenti cinematografici, non potrà riflettere a pieno le strategie
narrative adottate dall'autrice. Bollare Cinquanta
sfumature, come letteratura
spazzatura sarebbe estremamente semplice e anche banale: non è di fatto una
vicenda che merita nessuna demonizzazione, in quanto, come crediamo di avere dimostrato,
è una costruzione letteraria che si
fonda su un solido patto narrativo con suo il pubblico, fatto anche di richiami
letterari necessariamente impoveriti e per certi versi volgarizzati, ma che non
sono affatto trascurabili. È necessario prendere i tre libri di Cinquanta sfumature di grigio, rosso e nero,
per quello che sono: una fiaba contemporanea per persone adulte (che sarà tuttavia
fruita anche da un pubblico adolescente), esasperazione bibliografica del
celeberrimo film di Pretty woman, racconto di un amore sincero e privo censure, tanto impossibile
quanto reale e perfino noioso e scontato; una lettura riservata prevalentemente
a un pubblico femminile, che non lascia
affatto senza fiato. Può essere stuzzicante e un po' frustrante se svolta senza
alcuna riflessione "metaletteraria", ma a un'attenta disamina, può anche
rivelarsi un passatempo disimpegnato non privo di piccole sorprese stilistiche.
domenica 6 luglio 2014
SUL SIGNORE DEGLI ANELLI (Alcuni buoni motivi per leggere il libro di J. R. R. Tolkien pur avendo visto la trilogia di Peter Jackson)
Decidere
di leggere Il Signore degli anelli dopo aver visto e rivisto la trilogia di Peter
Jackson, potrebbe essere giudicata una scelta ridondante nonché faticosa, vista
la ponderosità del capolavoro letterario di J.R. R.Tolkien.
Dopotutto
l'opera cinematografica ci ha regalato una riduzione filologicamente
attendibile (ovvero, un'interpretazione comunque personale) dei tre libri, gli
effetti speciali hanno permesso agli spettatori di vivere esperienze che
sarebbero rimaste appannaggio della loro pura immaginazione, gli attori hanno dato il loro corpo e il loro
sangue ai personaggi, facendoli agire, soffrire e gioire insieme a noi
attraverso il medium del grande schermo. Il
Signore degli anelli è quindi un romanzo diventato una sceneggiatura che ha aperto la strada a tanti altri
romanzi-copioni di genere affine i quali, appena pubblicati, sono diventati dei
film o delle serie fantasy.
Tuttavia
si arriva subito a una chiave di volta: Molti racconti fantasy hanno avuto appena
il tempo di essere pubblicati e sono stati trasformati in un prodotto visivo e commerciale,
è quello che è successo anche ai romanzi di Harry Potter, sebbene in tal caso
l'intento della saga letteraria fosse squisitamente educativo, e questo
elemento si è riversato anche nei film ispirati al maghetto. La letteratura
fantasy contemporanea è insomma un prodotto che aspira alla riduzione
cinematografica essendo carica di creature sempre più strane e bisognose di effetti
speciali sempre più raffinati per
prendere vita.
Il Signore degli anelli è stato concepito più di sessant'anni fa, ed è
innanzitutto una sapiente costruzione letteraria che interseca tra loro temi fiabeschi, motivi ispirati alle saghe
nordiche e valori esemplari dell'epica classica, cuciti con acribia filologica,
geografica e storiografica tale da
permettere all'autore di inventare e rappresentare con realistica puntualità luoghi, ere e linguaggi. Questo è forse
l'elemento meno interessante per il pubblico di massa, ma è tuttavia inconfutabile il fascino che emana nei lettori più attenti e
bendisposti: mappe, alfabeti, pronunce, periodi storici ed alberi genealogici inesistenti
eppure documentati e ricostruiti in accurate cronologie in appendice ai tre
(ovvero sei) libri di questa saga il quale scopo è chiaramente quello di una
manzoniana verosimiglianza alla rovescia: i farri appartenenti alla dimensione
fantastica diventano più reali della realtà stessa anche in forza
dei fanta-documenti che ne danno testimonianza.
La
dimensione epica del racconto è certamente quella che si coglie meglio attraverso
la lettura del Signore degli anelli: il valore del canto e delle storie è più
volte riaffermato nelle pagine del romanzo di Tolkien, Gli Ent elencano i nomi
delle creature della terra di mezzo per mezzo di lunghi poemi, il gioioso personaggio,
unicamente letterario e senza tempo, di Tom Bombadil, vive cantando e ridendo, insensibile
alla seduzione di qualsiasi forma di male, Bilbo è un compositore di canzoni, e ha
scritto il libro delle sue avventure che
sarà continuato da Frodo e portato a compimento da Sam, e ogni creatura della
terra di mezzo vive di racconti e di canti istoriati che conservano e celebrano
vicende passate e presenti. Tutti appartengono ad una storia e le grandi storie
non hanno mai fine; sono riflessioni del saggio Sam che rimbalzano anche sulle
labbra di Frodo e Pipino, e il canto scioglie le tensioni e sublima le
sofferenze nel sorriso.
Quel
sorriso, che insieme alla risata pura e schietta, si oppone al male e lo
sconfigge, umanizzazione della luce che si oppone alle tenebre: il suono,
singolare in un campo di battaglia, della risata di Eowyn davanti al Re Stregone
poco prima di sconfiggerlo ne è un chiaro esempio, come anche lo sono le risate
di Merry e Pipino davanti alle rovine di Isengard quando si riuniscono
finalmente ai membri della compagnia dell' Anello, e ancora è la risata di
Gandalf a rianimare Sam e a provocare il suo pianto liberatorio
(seguito anch'esso da una risata) quando si risveglia al termine della sua
avventura e si rende conto di non aver sognato ma di essere riuscito nella sua
impresa insieme all'amico Frodo.
Anche
l'esemplarità dei personaggi è più marcata nelle pagine del Signore degli anelli rispetto al film: tutti
gli Hobbit sono “dolci come il miele e
resistenti come le radici di alberi secolari”, sebbene poi ciascuno mostri
delle sfumature caratteriali e comportamentali proprie (Sam è il saggio
coraggioso, Frodo è la vittima sacrificale incompresa, Merry e Pipino sono degli
Hobbit combattenti); Aragorn è l'impavido
e salvifico re "amato dal
mondo" che in un certo senso si oppone prima a Boromir l'impetuoso e poi
al fratello di lui Faramir, il quale è invece un personaggio riflessivo, sensibile
e coraggioso; Gandalf è il sapiente
cercatore, Gimli e Legolas sono gli amici che si completano nonostante le
differenze che li caratterizzano; Arwen è la Stella del vespro che si
contrappone alla luce del mattino di Galabriel; Eowyn è la donna guerriera che soffre
ama e combatte; lo stesso Gollum è una creatura divisa a metà vittima
dell'anello, memore del passato sereno di Smaegol, alter ego esasperato di Frodo.
Questi
sono solo alcuni degli elementi esemplari del romanzo che i film cercano di
trasmettere ma che perdono molto nella resa visiva. Leggere Il Signore
degli anelli essendo già a
conoscenza della sua trama cinematografica permette innanzitutto di recuperare
questi aspetti e di scoprire delle sottili
trame che la celluloide ha dovuto
necessariamente bandire ma che sono delle portatrici di significati profondi e
degni di essere riscoperti proprio attraverso la lettura: la lotta tra il bene
è il male è anche lotta tra le diverse forme di male, quello assoluto e quello
più umano che non possono affatto conciliarsi; il motivo della quête (ricerca) e del nostos ( il viaggio di ritorno) si
intrecciano indissolubilmente con il polemos
(la guerra) che continua oltre la missione dell'anello per la pacificazione
della Contea.
La
lettura permette inoltre di dare il nostro sangue ai personaggi e di farli
rivivere secondo la nostra personale prospettiva, e l'epos tolkieniano si presta ad essere interiorizzato e rivissuto dal
lettore attivando la sua naturale empàtheia
immaginativa.
"Le
grandi storie non conoscono fine", perchè gli scrittori hanno profuso in
esse la loro sapienza costruttiva ed emozionale ma anche perchè i lettori hanno
la facoltà di non farle morire. Non è un caso che il piccolo Bastian,
protagonista della trasposizione cinematografica di un altro grandissimo
romanzo fantasy portatore di diversi livelli di significato qual è La storia infinita di Michael Ende, citi tra i romanzi che ha
letto proprio Il Signore degli anelli, è infatti anch'esso una storia infinita, a
livello narrativo, interpretativo, ed esperienziale: il lettore può tornare indietro e rileggere una pagina
cogliendone molteplici significati, se ne possono apprezzare le vibrazioni liriche e i chiaroscuri in versi e in prosa che si fondono con la
narrazione, e ogni vicenda, nella sua verosimiglianza capovolta può sovrapporsi
alla nostra storia personale e sociale e alle storie di tutti i tempi.
Un
ultimo valido motivo per leggere Il
Signore degli anelli è senz'altro la
sua inconfutabile bellezza, che ne fa un classico, e che svelandosi pagina dopo
pagina, vince gli indugi suscitati nei lettori dallo spessore delle sue pagine,
ed emoziona con le descrizioni che indugiano nei particolari e i paragoni
pittorici di un tipo di scrittura che oggi sembra non esistere più, ma che continua
a far vibrare e a tenere desti gli animi.
giovedì 1 maggio 2014
Una saga fantagalattica e demenziale che spiega la complessità dell’Universo: La guida galattica per gli autostoppisti.
Cosa
succederebbe se la Terra fosse distrutta da un’astronave aliena per far posto
ad una superstrada galattica? E’ questo che raccontano i cinque episodi della Guida galattica per gli autostoppisti, epopea fantagalattica scritta da Douglas Noel
Adams tra il 1979 e il 1984 e pubblicata nella Piccola Biblioteca Oscar
Mondadori.
La
saga vede protagonisti il terrestre Arthur Dent, che si salva dalla terribile
tragedia della fine del modo con l’aiuto di Ford Prefect, un alieno, esperto
autostoppista galattico, che abita sulla Terra da 15 anni e si occupa
dell’aggiornamento della Guida galattica per autostoppisti. I due sgangherati
amici intraprendono uno straordinario viaggio nell’universo spazio-temporale,
insieme al presidente della galassia, il bicefalo Zaphod Beeblebrox, alla
terreste Trillian, e al super intelligente (e super depresso) robot Marvin.
I
cinque episodi della saga (Guida galattica
per gli autostoppisti, Ristorante al termine dell’Universo; La vita, l’universo
e tutto quanto; Addio, e grazie per tutto il pesce; Praticamente innocuo) si snodano tutti (in maniera non omogenea)
intorno a questi cinque personaggi, sebbene siano soprattutto Arthur e Ford i
due grandi protagonisti di questa vicenda paradossale.
Pur
essendo stata pubblicata più di trent’anni fa la Guida si confronta con temi di straordinaria
attualità come l’asservimento dell’uomo alle macchine, la ricerca del significato
dell’universo, il relativismo spazio-temporale che porta ad ipotizzare non solo
l’esistenza di altri mondi ma anche di dimensioni alternative in cui uno stesso
pianeta acquista forme differenti. L’uomo, abitante di un pianeta “Praticamente
innocuo” (come lo definisce tristemente la Guida) si confronta con un Universo
complesso e confuso (Un “gran casino generale”) e scopre di non esserne il
centro, del resto l’antropocentrismo è smentito dalla scoperta che sono i topi
gli esseri più intelligenti della Terra, seguiti dai delfini!
Douglas
Adams ha costruito una storia avvincente e demenziale, talvolta irritante nella
sua lucida irrazionalità, che tuttavia rappresenta l’incomprensibilità dell’Universo con
leggerezza e profondità. Il ritmo della vicenda, rapido e scoppiettante nel
primo episodio della saga, si fa un
po’più lento in Ristorante al termine
dell’Universo, in cui l’elemento
riflessivo e speculativo fa parte a sé, non agglutinandosi all’azione.
Ma
sono le guerre di Krikkit, ne La vita, l’universo e tutto quanto, a
costituire il cuore di questa epopea, il pianeta Krikkit è infatti una metafora
della Terra, un mondo egocosmico, falsamente ecologista, che aspira a
distruggere tutti gli altri pianeti dell’universo. Ma ancora una volta Arthur e
Ford riusciranno a salvare la galassia, grazie all’aiuto del robot Marvin,
protagonista di uno spassosissimo dialogo con un materasso sul pianeta
Sconchiglioso Z.
Ma,
alla fine, questa Terra sarà stata distrutta davvero? Allora come mai Arthur,
che fra un’avventura e l’altra ha anche imparato a volare, si ritrova a casa sua in Addio e grazie per tutto il
pesce ? e soprattutto; che fine hanno fatto i delfini? Che sia stato tutto
un sogno? Considerato che Arthur ha trovato l’amore, ma che questo amore ha qualcosa
di strano (come del resto è strano un singolare oggetto di vetro che qualcuno,
non si sa chi, gli ha regalato) , è un po’ difficile credere che tutte le sue
sgangherate avventure siano state frutto di un lungo sogno…è molto più
probabile che l’asse della probabilità, con i suoi squilibri spazio temporali
gli abbia giocato qualche brutto scherzo, come ad esempio quello di fargli
avere una figlia proprio con Trillian (una bambina chiamata Casualità, in Praticamente innocuo), mentre in un’altra
dimensione la stessa Trillian si strugge per non aver seguito Zaphod nello
spazio e cerca di sfondare come giornalista…
Fra
l’altro, la casa editrice che distribuisce la guida galattica per gli
autostoppisti vorrebbe mutarne la struttura e
modificare la fetta di mercato a cui si rivolge, facendo scrivere a Ford
Prefect solo recensioni sui ristoranti.
La guida galattica per gli
autostoppisti ha una trama coinvolgente e complicata,
che tuttavia conosce anche dei momenti di debolezza e che può diventare
irritante per l’irriverenza con cui si confronta con quelli che noi
consideriamo dei problemi di vitale importanza.
Eppure
questa avventura paradossale si rivela
sconcertante perché le risposte che ci fornisce sono plausibili, acute ed
incredibilmente credibili, anche quando appaiono a prima vista incomprensibili,
ma del resto il messaggio che appare sullo schermo della guida quando si attiva
parla chiaro, confortandoci e orientandoci in questa (Allegra? Babelica?
Galattica?) confusione : NON FATEVI PRENDERE DAL PANICO. Un suggerimento che
non possiamo non tener presente.
lunedì 7 aprile 2014
Vizi e virtù di un prodotto letterario:Acciaio di Silvia Avallone
Ci sono romanzi
che acquistiamo per pura curiosità, specialmente quando fanno capolino con la
loro accattivante copertina rigida sugli scaffali della nostra libreria di
fiducia.
Poi cominciano a
leggerli, e magari ci attacchiamo letteralmente alla sedia per vedere come
vanno a finire, ma arrivati all’ultima pagina ci accorgiamo che qualcosa non
quadra…
Acciaio (Milano, Rizzoli 2010), opera prima
della giovane scrittrice biellese Silvia Avallone, è un romanzo che corrisponde
a questa identikit, è infatti un’opera di grande fruibilità che però si
disintegra in una bolla d’aria.
La Avallone ha uno
stile di scrittura gradevole e sa essere avvincente, la lettura infatti scorre
veloce senza intoppi, anche grazie ai numerosi dialoghi e monologhi che sono
parte fondante della struttura di questo corposo romanzo diviso in quattro
parti; tuttavia nonostante abbia dimostrato di essere capace di cimentarsi in
una tipologia scrittura relativamente accattivante, non è riuscita a costruire
una storia di spessore.
L’autrice racconta
le vicende di due bambine-adolescenti, le rappresenta nel loro micro-habitat,ovvero
i casermoni di Via Stalingrado a Piombino, immerso a sua volta nella più grande
realtà della classe operaia della tentacolare acciaieria "Lucchini"e
scosso dalla grande tragedia dell’11 settembre, tuttavia piccoli e grandi
avvenimenti non si incontrano, si sfiorano solamente sovrapponendosi fra loro.
Anna e Francesca,
le due giovani protagoniste, stanno per compiere 14 anni, e sembra quasi che la
loro vita debba essere decisa in questo delicato periodo di passaggio,è l’anno
che le porterà dalla terza media alla prima superiore. Sono due grandi amiche,
il loro rapporto è profondo e quasi simbiotico, ma imboccano due strade
differenti e un rapporto magico, e quasi primordiale nella sua intimità, si
sfalda irrimediabilmente: quello delle due ragazzine è un piccolo mondo scosso
da avvenimenti altrettanto piccoli, che tuttavia diventano, enormi per le loro
piccole anime, ferite a morte dalla fine di un’ amicizia così forte.
Francesca, è un’adolescente
algida, filiforme ed eterea, vittima di un padre morboso e di una madre
inaridita, ma indagare nei suoi pensieri e scoprire che non le piacciono i
ragazzi facendola diventare una ballerina di lap-dance a 14 anni non serve ad
altro se non a caricare pateticamente un personaggio che appare chiuso, sul
punto di sbocciare, ma non ancora perfettamente sbozzato, a differenza della
sua amica Anna, che è invece così definita nelle sue infantili decisioni come
nelle curve del suo corpo adolescenziale, deflorato dal bel Mattia, il poco
raccomandabile amico di suo fratello Alessio.
Adolescenti di
questo tipo esistono senza dubbio, ma Francesca ed Anna hanno qualcosa di eccessivo,
animalesco ed esasperato, sono troppo verisimili per essere anche credibili. Un
eccesso di verità si traduce in un ritratto falso, in cui non ci si immedesima,
si diventa piuttosto spettatori di scene morbosamente reali.
Ma sono
soprattutto le conclusioni di questa storia, che in realtà dovremmo definire
una non-storia, a lasciare l’amaro in bocca.
Acciaio,
in fin dei conti
non racconta nulla, tratteggia piuttosto uno spaccato di vita, segnato
dall’inevitabile separazione di due amiche che diventano grandi in maniera poco
(o troppo) ortodossa; per cui la Avallone, dopo essersi soffermata in maniera
quasi pedante su questo distacco, fa riavvicinare Anna e Francesca che si
ritrovano ormai quasi donne, e senza parole, dopo un anno di dolori ed esperienze
che le ha inevitabilmente mutate.
Il tempo non
ritorna e tutto quello che è successo non può essere cancellato; la Avallone ha
scelto la via meno problematica, e più scontata e pessimista, per concludere il
suo romanzo: Francesca vive ancora con dei genitori che sono assimilabili a due
spettri, e fa la ragazza immagine; la famiglia di Anna ha perso il suo unico
sostegno economico con la tragica morte di Alessio…
Qualcosa non
torna, troppi dubbi rimangono sospesi, in attesa di una risoluzione, non c’è
alcuna possibilità di redenzione, e l’autrice non lascia neanche intravedere
uno spazio in cui esprime un’effettiva condanna.
Acciaio è un libro scritto con
l’evidente scopo di diventare un film, è questa l’impressione che ci lascia. Quelli
che leggiamo non sono capitoli, sono già scene, di qualità relativamente
scarsa, ma che puntano su un forte impatto emotivo e potrebbero per questo
motivo attirare un vasto pubblico.
Gli ingredienti
per un bel melodrammone campione di incassi ci sono davvero tutti: un’amicizia
dai contorni lesbo, una ragazzina che si fa “sbattere” da un giovane aitante,
due tragedie familiari che si consumano contemporaneamente…ma tutto si chiude
troppo frettolosamente, come se si volessero nascondere delle ferite aperte e
sanguinanti con delle vistose ed inutili toppe.
Un bel prodotto
letterario, un prodotto appunto, che non riesce a sollevarsi da una fastidiosa,
commerciale, banalità.
lunedì 31 marzo 2014
UN SOGNO IN PUNTA DI PENNA: LO SPECCHIO NELLO SPECCHIO DI MICHAEL ENDE
Che cosa accade di un sogno, quando
colui che lo sogna si desta? Finisce nel nulla? Non esiste più? Ma io voglio
uscire di qua…sul serio! Non voglio più sognare di esserci. Non voglio neppure
farmi sognare chissà da chi. O forse non facciamo altro che sognarci a vicenda?
Un intreccio di sogni, un groviglio senza confini, senza fondo? Siamo tutti un
unico sogno che nessuno sta sognando?
Lo specchio nello specchio
di Michael Ende (edito per la prima volta nel 1984 e pubblicato in Italia dalla
Teadue giungendo nel 2009 alla sua ottava edizione) è un libro strano: l’autore
intesse, con straordinaria perizia narrativa, trenta racconti onirici, privi di
titolo e legati l’un l’altro da un impalpabile ed enigmatico fil rouge.
Quella
tratteggiata da Ende è una dimensione parallela e
simbolico-allegorica, si tratta tuttavia di simboli e allegorie, che hanno l’intrinseca
necessità di essere riempite di significato dal lettore, ma che talvolta rimangono
vuote come magnetici buchi neri.
La
dimensione del sogno è amplificata da quella del labirinto: “soltanto chi lascia il labirinto può essere
felice ma soltanto chi è felice può uscirne”, si legge nel secondo racconto, Lo
specchio nello specchio è infatti un
labirinto di parole e di immagini che imprigiona i suoi surreali protagonisti insieme
ai lettori che decidono di confrontarsi con le loro vicende, ricercando un
senso che talvolta credono di afferrare, ma che rimane denso ed oscuro, fino
all’ultima parola di questo enigmatico crogiuolo di storie.
Non
resta che arrendersi a questo insolito ginepraio in cui suggestioni classiche e
motivi religiosi si incontrano e si scontrano con il senso dell’inconoscibile e
del tempo che passa, in un amalgama surreale e visionario che trae la sua linfa
anche dalle opere del padre di Ende, il pittore surrealista Edgar (a cui del
resto questa raccolta è dedicata) quasi a voler essere una sorta di
trasposizione verbale dei suoi quadri.
Tuttavia
questo senso di impotenza e di apparente inutilità davanti a delle vicende
incomprensibili lascia perplessi, il lettore deve diventare una sorta di
specchio in cui queste storie si riflettono e rimbalzano nella loro cangiante
enigmaticità, si trova infatti davanti a un affresco di parole in cui agiscono
creature mostruose eppure latrici di una straordinaria e misteriosa armonia, si
verificano avvenimenti apparentemente privi di senso, i personaggi sono
risucchiati in spazi indefiniti e luoghi infiniti ed ogni cognizione spaziotemporale
è definitivamente perduta.
Questa
dimensione parallela, labirintica ed inquietante coincide inaspettatamente con
la nostra realtà, come attestano le parole della misteriosa ragazza dell’ultimo
racconto:
“Crede davvero che il mondo qui
fuori non appartenga già al labirinto? L’esistenza di questa porta fa sì che
non ci siano più un davanti e un dietro. Anche questo mondo non è altro che uno
dei tanti mondi che lei ha sognato e sognerà ancora.”
Certamente
Lo specchio nello specchio non è un libro piacevole, è piuttosto una
lettura faticosa e inquietante. Michael Ende ha abbandonato il regno di Fantàsia
della sua Storia Infinita e la città senza nome di
Momo e dei Signori grigi per calarsi in una realtà surreale ed indecifrabile, ha
scelto di affrontare una strada diversa e più matura rispetto a quella percorsa
con i suoi romanzi più famosi e suggestivi; una strada difficile e tortuosa, un
labirinto senza uscita…
Il
singolare fascino di questo tipo di
scrittura così sinistro e inquietante non rende tuttavia Lo
specchio nello specchio un libro indimenticabile: alcuni racconti rimangono impressi nella memoria come
ritratti, non privi di suggestioni musicali, come la vicenda del giovane medico
e del monstum armonioso, o ancora quella
dello sposo che deve raggiungere la sua sposa attraversando una stanza
infinita, e la storia dell’uomo dagli occhi di pesce; tuttavia la trama di
questo dedalo di parole rimane troppo esile rispetto delle maestose allegorie
che Ende è riuscito a costruire nei suoi romanzi più famosi.
Un
libro da ascoltare, con cui confrontarsi con pazienza, una lettura suggestiva e
uno straordinario gruppo di affreschi, che tuttavia può anche lasciare delusi, dipende tutto dal lettore:
perché è lui che ha scelto la via del
labirinto, ma ogni lettore ne rifletterà un’immagine diversa, a seconda della
sua sensibilità.
domenica 23 marzo 2014
Un classico ritrovato: Scorciatoie e raccontini di Umberto Saba
Pubblicate
per la prima volta nel 1946, incluse nel volume mondadoriano che raccoglie
tutte le prose di Umberto Saba curato da Arrigo Stara nel 2001, le Scorciatoie e raccontini, brevi prose scorciate
che coniugano il rigore logico dell’aforisma con la densità visionaria e
coloristica della prosa narrativa, hanno da qualche anno conosiuto una seconda
giovinezza: sono state infatti ripubblicate da Einaudi nell’aprile del 2011, in
uno smilzo volumetto dalla copertina verde, in cui è possibile leggere (o
rileggere, per chi già le conoscesse) una
delle più innovative opere del poeta triestino, autore del celebre Canzoniere, che in questi suoi 165
brevi, e brevissimi, scritti aforistico-narrativi, cui fanno seguito 14
singolari storielle dal taglio lievemente più lungo, si rivela anche un
grandissimo prosatore.
Nella sua
Storia e cronistoria del Canzoniere (1946) Saba, accennando allo scarso
successo sortito da Scorciatoie e Raccontini, dichiara che queste prose hanno “le radici nell’Ottocento e la testa nel
2050”, e in una lettera alla figlia Linuccia, risalente al 30 Novembre 1945,
sempre parlando di Scorciatoie, l’autore triestino si esprime in questi
termini: “È più che un bel libro; è il libro del Novecento, come Candide
fu il libro nel quale si assomma il Settecento. Pochi, assai pochi lo
capiranno. Ma l’opera è vitale… come lo fu il tuo povero padre”.
Saba
considerava quindi Scorciatoie e raccontini un’opera d’importanza
capitale, del resto è vero che, sebbene questa raccolta affondi le sue radici
nel diciannovesimo secolo, è effettivamente proiettata verso il futuro, e verso un
pubblico giovane, in grado di affrontare un tipo di narrativa innovativa, che non
vuole solo essere letta, ma ha il fisiologico bisogno essere vissuta in ogni
sua parola; proprio per questo motivo anche la grafia di Scorciatoie e raccontini è connotata
in una maniera che potremmo definire sentimentale, ed è portatrice di
significati complessi e profondi.
Per
comprendere la densità di quest’opera
si leggano la prima e la seconda scorciatoia
in cui l’autore riconosce la complessità grafica ed argomentativa delle sue
brevi prose:
1 GRAFIA DI SCORCIATOIE Sono
piene di parentesi, di - fra lineette - di “fra virgolette”, di parole
sottolineate nel manoscritto e che devono essere stampate in corsivo, di parole
in maiuscolo, di “tre puntini”, di segni esclamativi e di domanda. Che il proto
prima, e il lettore poi, mi perdonino. Non so più dire senza abbreviare; e non
potevo abbreviare altrimenti.
2 SCORCIATOIE Sono – dice il
Dizionario – vie più brevi per andare da un luogo ad un altro. Sono, a volte,
difficili; veri sentieri per capre. Possono dare la nostalgia delle strade
lunghe, piane, diritte, provinciali.
Scorciatoie e Raccontini, che Saba dice di
aver scritto in collaborazione con Nietzsche e Freud (ma nel quale è possibile
rintracciare anche degli echi leopardiani) non è solo un’opera in cui l’autore
triestino mette in mostra tutte le sue conoscenze psicoanalitiche, in una sorta
di utopistica progettazione di una nuova società; è in primo luogo una raccolta
di prose scorciate e di favolette contemporanee e senza tempo, in cui Saba fornisce
una propria interpretazione di fatti, personaggi ed opere letterarie osservando
la società che lo circonda, ed esprimendo giudizi taglienti e dissonanti nei
confronti di autori osannati dai suoi contemporanei come Francesco Petrarca, Stephan
Mallarmè, Giovanni Pascoli o Alberto Moravia.
Nelle
sue pagine, che sono un dolceamaro frutto in cui si percepiscono “le lacrime ed
il sangue” del poeta triestino scampato alle persecuzioni della guerra, Saba disegna
inoltre un acuto ed impietoso ritratto dei totalitarismi e dei loro principali
fautori, rivelandosi un fine esegeta ed un sensibile interprete della realtà in
cui vive.
Le Scorciatoie
ed i raccontini sono quindi dolci e dolorosi, infatti dietro a una
similitudine o ad un’affermazione paradossale e bizzarra nascondono profondi
coni d’ombra, che possono anche turbare
ed amareggiare un lettore sensibile, e rivelano la loro talvolta sconcertante
attualità, nonostante siano state concepite da Saba in un definito periodo
storico (Il fascismo ed il secondo dopoguerra).
Ma Scorciatoie e raccontini sono soprattutto
un immenso messaggio d’amore, che Saba affida con fiducia ai suoi lettori,
perché crede fermamente che le generazioni del futuro potranno capirlo, e saranno
disposte ad ascoltarlo.
Sarà
vero? Noi pensiamo di sì; perché, sebbene la società contemporanea abbia sempre
una gran fretta, e la fretta sia notoriamente una cattiva consigliera, nella
lettura di Scorciatoie e Raccontini, come in qualsiasi altro tipo di
azione, la nostra generazione è più curiosa e disinibita e potrebbe essere
pronta ad affrontare le parole, leggere come farfalle e pesanti come macigni
scritte da un anziano, eppur giovanissimo, Umberto Saba.
lunedì 10 marzo 2014
Ciao Harry! Riflessioni (sentimental-letterarie) al termine di un percorso di letture Potteriane (seconda parte)
2. Dalla saga alla trilogia
A ben vedere sono soprattutto gli ultimi tre episodi
della Saga di Harry Potter a costruire un percorso omogeneo, in cui la storia
fluisce con maggiori interconnessioni. Questo non vuol certamente dire che gli
altri romanzi presentino delle pecche d’integrazione, semplicemente i toni che
li caratterizzano sono diversi.
La Pietra Filosofale e La
Camera dei segreti sono di fatto i romanzi del crepuscolo dell’infanzia di
Harry, anche il confronto che instaura con il Signore Oscuro è indiretto (nel
primo episodio) e mediato dai ricordi adolescenziali di quest’ultimo (nel
secondo episodio). Il prigioniero di
Azkaban è già altra cosa rispetto ai primi due romanzi, non solo per le scoperte compiute da Harry,
ma soprattutto perché in questo episodio il suo contatto con il male si
approfondisce e si complica dolorosamente per
esperienza e agnizione: la scoperta dei Dissennatori è certamente una
svolta in tal senso, ma anche quella del ruolo di Crosta/Codaliscia sortisce la
sua importanza per il seguito della vicenda.
Il
calice di fuoco segna, come abbiamo già avuto modo di accennare, un
punto di svolta molto importante in quanto rappresenta il romanzo della
reincarnazione del male, ovvero del Signore Oscuro; dal punto di vista
narrativo è questo l’episodio che attesta un cambiamento forte all’interno
della saga, perché il male acquista delle sembianze e un volto definito benchè
indefinibile, sebbene sia appunto con L’Ordine della Fenice che si definiscono i ruoli, si innestano
collegamenti forti tra bene e male, che non sono solo connessioni oppositive:
la vicenda è pronta a mostrare i suoi sviluppi conclusivi.
Il segno che L’Ordine della Fenice, Il Principe
Mezzosangue, e I Doni della Morte, sono di fatto associabili in una sorta di
trilogia della seconda adolescenza di Harry, ci è dato anche dai cambiamenti
che si percepiscono nella figura di Severus Piton, personaggio controverso,
all’interno della saga, che soprattutto nei primi tre romanzi è una figura
diametralmente opposta a quella di James Potter, al quale, tuttavia, a detta di
Silente e come si scoprirà nel diciottesimo capitolo del Prigioniero di Azkaban, deve
la vita. Non si intuiscono ancora i risvolti sentimentali che caratterizzeranno
l’ultimo episodio della saga, ma già nell’Ordine
della Fenice, la Rowling tratteggia un Piton adolescente, bizzarro, timido
e infelice, e accenna appena al suo legame con Lily, la madre di Harry.
Il
Principe Mezzosangue non è il romanzo di Piton, sebbene questo epiteto gli
appartenga, e benché sia lui l’apparente trionfatore nel male della vicenda
narrata.
Questo è di fatto il vero romanzo di Lord Voldemort,
la cui vita viene passata al setaccio attraverso i ricordi conservati da
Silente e riproposti ad Harry nel suo pensatoio. La sua famiglia, l’infanzia
dolorosa, il fascino delle arti oscure, il suo bisogno di vincere la morte,
sono raccontati in queste pagine che culminano nella ricerca degli Horcrux,
oggetti (e soggetti) contenenti pezzi di un’anima fatta a brandelli, dilaniata
da sette omicidi, e che l’hanno resa apparentemente immortale, oggettivandola e
simbolizzandola di fatto in un piccolo insieme di sinistre morti viventi: Il
diario di Tom Riddle, l’anello di famiglia dei Gaunt, il medaglione di
Serpeverde, la coppa di Tassofrasso, il diadema di Corvonero, il serpente
Nagini e lo stesso Harry sono degli Horcrux, sinistramente significativi anche
a livello affettivo per Voldemort.
È nel Principe Mezzosangue che Harry apprende
dalle parole di Silente della distruzione più o meno consapevole dei primi due
(il diario di Riddle è stato distrutto già nel secondo episodio, e proprio
Silente ha annullato i poteri dell’anello dei Gaunt, con conseguenze mortifere)
e comincia insieme al Preside ormai agonizzante la ricerca ragionata degli
altri, rimanendo tuttavia all’oscuro, fino alla fine che l’ultimo Horcrux da
distruggere è lui stesso.
Il Principe
Mezzosangue è quindi l’episodio della saga in cui il passato di Tom
Riddle/Lord Voldemort, riemerge nella sua straziante e dolorosa verità, ma è
anche il romanzo in cui si conclude la vita mortale di Albus Silente, aprendo
tanti interrogativi sulla sua persona che saranno risolti solo ne I
doni della Morte.
L’episodio conclusivo della saga appartiene infatti a
Silente, istituendo una sorta di opposizione binaria con il Principe Mezzosangue.
In esso gli interrogativi di Harry sul passato di
questo grandissimo mago trovano man mano risposta, il ritratto che emerge è di
fatto quello di un regista che ha mosso sapientemente le sue pedine per
raggiungere un ineffabile quanto indispensabile bene superiore. Un concetto difficile da interiorizzare
per gli altri protagonisti della vicenda, al punto da farlo passare per un mostro agli occhi del fedelissimo
Piton, quando l’uomo scopre qual è il destino di Harry.
Di Silente rimarrà sempre l’impressione che non sia
stato detto tutto, se Voldemort è la perfetta esplicitazione del male nato dal
dolore della mancanza di una qualsiasi forma di amore e dall’abbandono, Albus è
una figura perfetta nelle sue ombre, ha accarezzato il lato oscuro della magia
nella sua adolescenziale amicizia innamorata con Gellert Grindelwald, si è
comportato da egoista nei confronti dei suoi affetti familiari chiudendosi ai
bisogni della sorella Ariana affidata alle cure del fratello Abelfort, e
vivendo la sua avventura adolescenziale con quello che sarebbe diventato il suo
primo grande nemico dopo essere stato il suo più grande amico, alla ricerca dei
Doni della Morte.
Eppure, a ben vedere, proprio la disavventura della
sorella Ariana, molestata e rovinata per sempre da tre ragazzi babbani mentre
da bambina si cimentava in una innocente magia, e quella del padre di Silente,
rinchiuso ad Azkaban dopo essersi vendicato per aver aggredito gli aggressori
di sua figlia, rappresentano il motore
che attiva la ricerca di un bene superiore che non può passare per l’odio e per
la vendetta, né tantomeno per il potere rappresentato dalla purezza del sangue
o dai mitici Doni della Morte che permetterebbero al loro possessore di
dominarla.
Harry comprende l’ineffabile necessità di questo bene
e la scaraventa davanti ad Abelforth,
ancora turbato e arrabbiato per le scelte compiute dal fratello maggiore
mentre rievoca la dolorosa fine di Ariana:
-Scoppiò una lite...io presi la mia bacchetta e lui
la sua, e il migliore amico di mio fratello mi inflisse la maledizione
Cruciatus...Albus cerco di fermarlo e ci ritrovammo tutti e tre a lottare, e i
lampi e le esplosioni la facevano impazzire, non riusciva a sopportarlo...-
Il volto di Abelforth impallidì come se avesse subito
una ferita mortale.
-...io non credo che volesse aiutarmi, ma non sapeva
quello che faceva: non si chi di noi sia stato, potrebbe essere stato
chiunque...e morì-.
La voce gli si spezzò sull’ultima parola e poi si
lasciò cadere sulla sedia più vicina
[...]
-Naturalmente Grindelwald tagliò la corda. Aveva già
collezionato una bella lista di malefatte nel suo paese e non voleva che anche
Ariana fosse messa sul suo conto. E così Albus era libero. Libero dal fardello
della sorella, libero di diventare il
più grande mago del...-
-Non è mai stato libero- lo interruppe Harry.
-Come?- Chiese Abelforth.
-Mai- ripetè Harry. “La notte che morì suo fratello
aveva bevuto una pozione che lo fece uscire di senno, Urlava, supplicava
qualcuno che non c’era. -Non far del
male a loro, ti prego...fai male a me, invece-. [...]
-Credeva di essere di nuovo con lei e Grindelwald, lo
so- continuò Harry, ricordando il piagnucolio e le suppliche di Silente. ”- Vedeva
Grindelwald che faceva del male a lei e ad Ariana...era una tortura per lui: se
l’avesse visto allora, non direbbe che era libero-.
Abelforth sembrava smarrito nella contemplazione
delle proprie mani nodose e coperte di vene. Dopo una lunga pausa domandò: -
Come fai, Potter, a essere sicuro che
mio fratello non fosse più interessato al bene superiore che a te? come fai a
essere sicuro di non essere superfluo, come la mia sorellina?-
Una scheggia di ghiaccio perforò il cuore di Harry.
-Non ci credo. Silente voleva bene a Harry-
intervenne Hermione.
-Perchè non gli ha detto di nascondersi, allora?- Ribattè
Abelforth. ” Perchè non gli ha detto: -Pensa a te stesso, è così che si
sopravvive?-
-Perchè- rispose Harry, prima che potesse farlo
Hermione, -a volte bisogna pensare
a qualcosa di più della propria salvezza! a volte bisogna pensare al bene superiore! Questa è una
guerra!-[1]
Nel suo ultimo colloquio disincarnato con Harry, che
avviene in un non-luogo spirituale simile alla stazione della metropolitana
di King’s cross, Silente riconosce di
essere stato un debole nella sua adolescenza e nell’età adulta, tuttavia ha
lottato perché trionfassero la giustizia e quella forma di bene scevra da ogni
egoismo, onnicomprensiva, affatto priva di spirito di sacrificio, una forma di
bene figlia dell’amore inteso come greca agàpe. I Doni della Morte, e in
particolare la Pietra della Risurrezione, estremi desiderata di un
Silente che non ha mai superato pienamente le sue debolezze di uomo, ma è
riuscito a dominarle nello stesso modo in cui ha dominato la Bacchetta di
Sambuco, assurgono a simbolo di una battaglia conclusa nella vita vera e piena,
consacrata all’amore e vinta dal giovane Harry:
- Lei ha provato a usare la Pietra della Resurrezione-.
Silente annuì.
Quando la trovai, dopo tutti quegli anni, sepolta
nella dimora abbandonata dei Gaunt, il Dono che più avevo bramato - anche se in
gioventù l’avevo desiderato per tutt’altre ragioni -persi la testa, Harry.
Quasi dimenticai che era diventata un Horcrux, che l’anello certamente
conteneva una maledizione. Lo presi e me
lo infilai e per un attimo immaginai che avrei visto Ariana, mia madre, mio
padre, e che avrei detto loro quanto mi dispiaceva...
- Fui uno sciocco, Harry. Dopo tutti quegli anni, non
avevo imparato nulla. Ero indegno di riunire i Doni della Morte, l’avevo
dimostrato più e più volte, e questa era la conferma.-
- Perchè?- Chiese Harry. - Era naturale! Voleva
rivederli. Che cosa ha sbagliato?-
- Forse un uomo su un milione potrebbe riunire i
Doni, Harry. Io sono stato capace solo di possedere il più crudele, il meno
straordinario. Sono stato in grado di possedere la Bacchetta e di non
vantarmene e non usarla per uccidere. Mi è stato concesso di dominarla e
usarla, perchè l’avevo presa non per mio tornaconto, ma per salvare altri da
lei.
- Ma il Mantello l’ho preso solo per futile
curiosirtà, e quindi non avrebbe mai potuto funzionare per me come per te che
ne sei il legittimo proprietario. Avrei usato la Pietra per richiamare indietro
coloro che sono in pace, invece che per consentire il saacrificio di me stesso,
come hai fatto tu. Tu sei il degno possessore dei Doni-.
Silente battè sulla mano di Harry, che alzò lo
sguardo sul vecchio e sorrise; non riuscì a trattenersi. Come faceva ad essere
ancora arrabbiato con lui?
- Temo di aver sperato che la signorina Granger ti
frenasse, Harry. Avevo paura che la tua testa calda avesse la meglio sul tuo
buon cuore, che se tu avessi saputo tutto fin da subito su quegli oggetti
tentatori avresti potuto gettarti sui
Doni come feci io, al momento sbagliato, per le ragioni sbagliate. Se dovevi
metterci le mani sopra, volevo che li prendessi senza rischi. Tu sei il vero
padrone della morte, perchè il vero padrone non cerca dei sfuggirle. Accetta di
dover morire e comprende che vi sono cose assai peggiori nel modo dei vivi che
morire-.[2]
La complessa vicenda biografica ed emotiva di Silente
trova quindi il suo pieno compimento nel martirio di Harry che assurge a figura
larvatamente cristologica, pronta al sacrificio per un bene superiore e vera
dominatrice della Morte.
Ma anche il coraggioso martirio del professor Piton,
che è vissuto e morto nascondendo la
parte migliore di sè e proteggendo Harry in nome dell'amore imperituro per sua
madre Lily, è un'altra testimonianza dell'esistenza di quel bene superiore, la
cui percezione permette di oltrepassare
anche la paura della morte.
I
doni della morte, è senz’altro il romanzo più complesso dell’intera
saga di Harry Potter, anche per i suoi
larvati riferimenti alla storia contemporanea: la plumbea atmosfera di guerra
che si distende tra le pagine culmina nei chiari riferimenti alla Shoah,
soprattutto quando si fa cenno alla delibera del Ministero della magia,
controllato da Voldemort, di tenere sotto controllo la popolazione magica fin
dalla giovane età, alla ricerca di un’inaudita purezza del sangue magico.
La figura del
mago oscuro, nato Mezzosangue, si associa automaticamente e geneticamente a quella di Hitler,
persecutore degli ebrei che tuttavia aveva origini ebraiche, in un interessante
connubio tra realtà storica e fantasia.
Abbiamo già avuto modo di accennare che Voldemort,
cercando di interpretare la profezia sulla sua possibile sconfitta “ha scelto”
di segnare come suo pari “il ragazzo che a suo parere aveva più probabilità di
costituire un pericolo”: il mezzosangue Harry, preferendolo al purosangue
Neville Longbottom; eppure, sarà proprio Neville ad annientare l’ultimo
Horcrux, il serpente Nagini, annullando definitivamente l’immortalità del Signore Oscuro e offrendolo
ad Harry ormai privo di difese.
La profezia quindi si rivela sibillina, perché
attribuisce ad entrambi i giovani un ruolo fondamentale per la definitiva
distruzione di Voldemort.
3. Una
Conclusione (?)
Concludere la lettura della saga di Harry e dei suoi
amici produce una necessaria malinconia: è difficile lasciarli andare, lo è
ancor di più quando si è continuamente bombardati dalla versione
cinematografica delle loro avventure, e dalle peregrine dichiarazioni della
Rowling, che probabilmente afflitta
dalla “sindrome di Torquato Tasso” ha
affermato che dovrebbe riscrivere il romanzo, facendo sposare Harry con
Hermione, e distruggendo, a mio parere, il perfetto equilibrio di relazioni e
sentimenti che è riuscita a edificare e che consente ad Harry, Hermione e Ron di costruire un legame
d’affetto più solido e articolato, all’interno della famiglia Weasley.
Tuttavia la rivelazione più interessante è stata
senza dubbio quella in merito all’omosessualità di Silente, la quale è tuttavia difficilmente percepibile nella
sua relazione adolescenziale con Grindelwall.
Queste annotazioni al margine del mio innocente
esercizio di scrittura testimoniano come neanche la Rowling sia in grado si
lasciare andare la storia che ha costruito, certamente anche per un tornaconto
personale quale quello di mantenere alto l’interesse dei giovani lettori
intorno alla sua opera.
Ben venga una riscrittura dei romanzi, si chiariscano
i rapporti fra i personaggi, ma rimanga chiaro che tutti questi tentativi sono
altra cosa rispetto a quello che è la saga di Harry Potter quale è uscita dalla
prima penna della Rowling; una saga che vive ormai di una vita propria e non
può ricevere degli aggiustamenti o dei chiarimenti esterni, perché non le appartengono,
come non appartengono più all’autrice le parole uscite dalle sue mani: Harry
Potter appartiene ai lettori, che non possono fare a meno di riconoscere il
fascino senza tempo di questa storia, consacrandola all’altare dei classici e
sentendo una profonda malinconia dopo aver passato quasi un anno in sua
compagnia (e quasi un decennio insieme ai suoi film).
Ciao Harry! Fortunatamente nulla mi vieta di
ritornare a mettere il naso tra le pagine della tua avventura...
...Del resto la tua straordinaria vicenda è anche mia...
Iscriviti a:
Post (Atom)