venerdì 28 dicembre 2012

Vecchi/Nuovi classici: Erica e i suoi fratelli di Elio Vittorini (1936), una fiaba di lacrime e di sangue



Erica e i suoi fratelli, non è un racconto facilmente reperibile in libreria.

In una storia come questa, scritta da Elio Vittorini nel 1936, e rimasta incompiuta, ci si imbatte per puro caso, come appunto è capitato a me, che in una pigra mattina d’autunno, non avendo voglia di fare granchè, ho incrociato con sguardo sornione un libricino un po’ ammuffito della Einaudi risalente ai primi anni Ottanta in cui, oltre a Erica e i suoi fratelli è possibile leggere anche un breve romanzo di Vittorini, intitolato  La garibaldina…

Considerando lo scarso volume di pagine della storiella di Erica ( poco più di sessanta… e del resto, le piccole storie scritte da grandi autori promettono di darti tanto, seppur in un tempo di lettura relativamente breve…), ho cominciato a leggerla… (Se l’avventurato lettore di questa recensione, incuriosito da quanto dirò, fosse anch’egli tentato di leggere questo racconto, ma nello stesso tempo scoraggiato dalla difficoltà di trovarlo, avverto subito che è molto semplice reperirlo nelle librerie, fisiche e virtuali, che trattano la vendita di libri vecchi e usati o, ancora più agevolmente, nel primo dei due tomi dei Meridiani Mondadori in cui sono pubblicate le opere narrative dell’autore siracusano…)

Quella di Erica è una fiaba nera, di quelle cattive che bruciano il cuore e lasciano una cicatrice profonda e insanabile. Erica è una bambina che cresce insieme a i suoi due fratellini in una famiglia poverissima: come tutte le bambine Erica crede nelle fiabe, e la povertà per lei significa pericolo di essere abbandonata dai suoi genitori, dai quali si guarda infatti come se fossero due nemici, in un bosco, insieme ai suoi fratelli.

Crescendo la ragazzina crede di ravvedersi e comincia a capire che le sue sono solo fantasie fanciullesche; tuttavia la freddezza di sua madre, sempre impegnata a racimolare qualche soldo in più per sfamare la famiglia dal momento che il padre vede scemare la sua paga mese dopo mese, e il definitivo licenziamento di quest’ultimo, la costringono a ripiombare nella sua paura nutrita dalle fiabe.

Non si inganna Erica, quattordicenne assennata, la sua è proprio una fiaba, il papà se ne deve andare per cercare un nuovo lavoro, e la madre…come sarebbe contenta se quei tre figli non ci fossero! Come vorrebbe raggiungere il marito lontano! E una mattina di novembre la madre se ne va. Lascia la casa e le provviste (buone per viverci qualche settimana) in mano a Erica, la figlia matura che crede ancora nelle fiabe, e che ama e accudisce la sua povera casetta come fosse una sorellina minore. Ma Erica è solo una bambina e non capisce che i vicini di casa possono approfittarsi della sua ingenuità. Così, la moglie del ferroviere si prende la sua gallina, e qualcun altro le ruba la farina e il carbone. Ed Erica non sa difendersi.

Ma una quattordicenne è davvero ancora una bambina? O il suo atteggiamento rivela in realtà un’inettitudine agghiacciante, propria di chi è fisiologicamente incapace alla vita perché la natura non gli ha fornito le armi per difendersi? Erica non è furba, si perde nei sogni e si chiude in se stessa, non capisce l’importanza del lavoro, ne conosce solo la crudeltà e l’ingiustizia, perché il lavoro le ha portato via il papà e la mamma. E se il lavoro deve essere sinonimo di crudeltà , la ragazzina non può accettare di far la serva alle signore impietosite che la prenderebbero in casa per aiutarla ripagandola con pochi spiccioli. sceglierà piuttosto un mestiere cattivo per sfamare se stessa e i suoi fratelli: si legherà un nastro rosso ai capelli e nel tardo pomeriggio, mentre loro giocano lontani da casa, si affaccerà alla finestra di casa, aspettando i soldati che escono dalla caserma…

Non è affatto una bambina, La “disgraziata” Erica: è piuttosto un’adolescente confusa, che comincia una discesa verso l’ inferno degli adulti imboccando una strada insanguinata. Tre puntini di sospensione chiudono questo racconto struggente nella sua atrocità, che doveva continuare ma è rimasto interrotto, senza possibilità di redenzione. Interrotto e compiuto nel segno del dolore e della fame che trasforma una bambina abbandonata in madre dei suoi fratelli e in prostituta. Vittorini colpisce nel segno con una scrittura tersa e visionaria che racconta e dipinge una vicenda lontana nel tempo e attuale nelle sue tematiche: povertà, mancanza di lavoro, infanzia negata, violazione dell’infanzia e della femminilità…

Erica ei i suoi fratelli  è una piccola perla della narrativa italiana, un racconto lungo, che vale la pena di riscoprire,per la bellezza del suo stile ma soprattutto per il suo potere catartico. Un piccolo dolore che viene dal passato che aiuta a riflettere anche sul nostro presente.