domenica 26 aprile 2020

RICOMPOSIZIONI BIOGRAFICO-LETTERARIE: L’AMICA GENIALE OVVERO IL POTERE DELLA NARRAZIONE CHE COSTRUISCE, RIEVOCA ED ETERNA



Approcciarsi e riflettere sull’epopea costruita da Elena Ferrante è quasi un obbligo per chi si professa lettore, considerato anche il suo successo ulteriormente sancito dalla riduzione in fiction dei romanzi de L’amica geniale.
Dal momento che l’edificio di carta è antecedente a quello di celluloide e lo ispira, non è possibile non curiosarci dentro per indagarne le interconnessioni narrative e osservarne il valore letterario.
Una prima inevitabile constatazione è che i quattro romanzi del racconto di formazione dell'Amica geniale mostrano un solido impianto narrativo, in cui le microstorie dei personaggi si saldano al doppio scenario storico e geografico modificandolo ed essendone a loro volta modificate.

Cominciamo dalla fine…

Il prologo dell’Amica geniale  è di fatto alba e tramonto di un bildungsroman che si apre e si dipana con una specifica necessità, quella di evocare un’assenza: l’amica di una vita della voce narrante è scomparsa, cancellando ogni minima traccia di sé.
La perdita si traduce quindi nella necessità impellente di raccontare, riportando in vita un flusso biologico che è stato trasformato e deformato dal tempo: amicizie, vite, storie, amori, dolori che si delineano su uno sfondo temporale di quasi settant’anni.
Il lettore si trova immerso in un poderoso flashback che tenta di definire e fissare, avvalendosi un complesso tessuto narrativo, il flusso di due vite che sono entrambe geniali nella loro unicità e specificità che è l’unicità e la specificità di ogni vita;  proprio per questo motivo è quasi inevitabile ritrovarsi avvinti  da questo imponente affresco.
Questa è la prima impressione che si ha cominciando a leggere L’amica geniale, una percezione che accompagnerà a lungo il lettore, almeno fino a che non arriverà al termine dell’ultimo  romanzo di questa epopea contemporanea in cui avverrà la ricomposizione di una cornice molto più complessa e stratificata…

Un’amicizia

L’ultimo romanzo scritto da Elena Greco si intitola  Un’amicizia. In esso la protagonista, nonchè voce narrante della saga de L’Amica geniale, racconta la sua pluriennale amicizia con la coetanea Raffaella/Lina Cerullo e istituisce una volontaria connessione metaletteraria tra il romanzo condiviso e consumato dal lettore e il racconto della propria esperienza di vita. Un’amicizia è quindi L’amica geniale e viceversa, le due storie hanno il medesimo scopo: rievocare, tirare fuori dal fiume del tempo e fissare sulla carta una vicenda per non permettere all’altra protagonista di annientarsi come lei vorrebbe. 
Il legame che si definisce nella Storia di Don Achille è speciale ed assoluto, sancito dall’esclusività del nomignolo che Elena/Lenù attribuisce all’amica Raffaellina: Lila. Per tutti Raffaella Cerullo sarà Lina, per Elena rimarrà sempre e soltanto Lila.
Le due bambine sono figlie di un rione della città di Napoli, nate all’inizio degli anni Quaranta. Lenù è bionda, rotondetta, graziosa, e presto miope, figlia primogenita di un usciere. Lila è una  brunetta sottile, figlia di un calzolaio. Frequentano la stessa classe delle elementari, condividono gli stessi luoghi di gioco e respirano le stesse esperienze, conoscono le medesime mitologie di quartiere trasmesse loro dalle voci degli adulti.
Il teatro che le vede sbocciare e scoprire giorno dopo giorno la vita è crudo, fatto di arcane violenze che si traducono in linguaggi e comportamenti che tutti i membri del rione sanno decifrare e declinare. La loro amicizia è di fatto un nucleo intorno al quale graviteranno tante vite che in un modo o nell’altro le influenzeranno e le segneranno più o meno profondamente. 
A ben vedere questa amicizia geniale non è tanto diversa dalle comuni amicizie che durano un’intera vita: due bambine si scelgono e nella loro diversità si completano, l’esemplarità del loro legame è data dalle scelte diametralmente opposte che sembrano compiere nei loro percorsi di vita, scelte che tuttavia, nel periodo storico e nei luoghi fisici e dell’anima in cui si dipanano, non sono così poco comuni, sono piuttosto figlie dei tempi e delle loro effettive possibilità familiari.
Le accomuna una non comune intelligenza, Elena potrà coltivarla seguendo i canali ortodossi della formazione scolastica, Lila sarà costretta a reprimerla e frustrarla perché non le sarà permesso di continuare gli studi oltre la quinta elementare, ma cercherà di riplasmarla e coltivarla in tutti i modi possibili.
Intorno alle due bambine, ragazze, donne c’è un mondo che cambia, e conosce tutti i vorticosi mutamenti del secondo dopoguerra: la ricostruzione, la contestazione, la corruzione della camorra, le ombre del terrorismo, la fine di una repubblica, l’inizio di un’altra, l’avvento dei computatori che diventano computer e pc.
Quella di Lila e Lenù è un’amicizia pluriennale che conosce alti e bassi, momenti di profonda empatia e simbiosi e momenti di lontananza e di silenzio, ma che comunque non si spezza per la volontà di entrambe le protagoniste di non perdersi, perché il loro legame si intreccia alle loro radici e da esse è nutrito.


Primi tempi, ovvero l’arte dell’immedesimazione 


Appena il lettore oltrepassa la soglia del prologo si ritrova immerso nella struttura analettica del romanzo e i primi tre tempi narrativi cominciano a scorrere sotto i suoi occhi in un avvincente turbinio di impressioni ed emozioni.
Sono i tempi dell’infanzia, dell’adolescenza e della giovinezza di Lila e di Lenù, ovvero i tempi in cui l’epica della vita mostra i suoi colori più suggestivi, resi più nitidi o sfaccettati dall’immaginario delle protagoniste.
Il lettore si immedesima con facilità nelle loro vicende, stabilendo una sorta di connessione empatica che è tuttavia anche abbastanza tipica: l’infanzia, l’adolescenza e la giovinezza di ognuno di noi sono di fatto i momenti in cui avvengono e si fissano fatti e ricordi che alimentano i mitologemi della vita di ognuno di noi. I sentimenti sono amplificati, le amicizie e gli amori posseggono il tono dell’esemplarità e  sono guidati da da un sentire a tutto tondo, che non conosce mezzi termini e mezze verità.
Se anche l’adolescenza di Lila la proietta nel mondo e nella logica degli adulti, dal momento che ad appena sedici anni è già sposata, in realtà la sua condizione è quella tipica di molte ragazze che vivono nello stesso sfondo storico: sposarsi a una così giovane età, negli anni 50 non era certamente un fenomeno così singolare. Certamente diversi elementi appartenenti alla vita adulta si innestano e modificano la sua spensieratezza adolescenziale, e infatti da questo punto di vista a sua “partecipazione” ai ritmi scolastici della liceale Lenù costituiscono quasi una compensazione rispetto ad una mancanza. Oltretutto la sua iniziale incapacità di rimanere incinta e la diagnosi del medico che le consiglierà di andare a prendere un po’ di sole per rinforzarsi e “maturarsi” la riporta biologicamente ad una dimensione nettamente pre-adulta.
L’estate passata ad Ischia dalle due ragazze, accompagnate dalla madre il Lila Nunzia e dalla cognata Pinuccia, è l’atto centrale di questa epica dell’adolescenza. La passione della giovane per Nino Sarratore, oggetto del desiderio della sua migliore amica Elena, le loro giornate in spiaggia, l’amore fedifrago e furtivo, totalizzante e irripetibile dei due giovani rappresenta il  vero momento di passaggio all’età adulta di tutti i personaggi che popolano la scena del romanzo. Quell’estate sarà spesso richiamata alla memoria da Elena che perderà anche la propria verginità proprio con il padre di Nino, in una delle sue ultime serate sull’isola e trasformerà questo episodio e tutto il suo contorno, nell'argomento del suo romanzo d’esordio.
La  Storia delle scarpe  e quella del Nuovo cognome sono anche le sezione dell’epopea di Lila e di Lenù in cui lo sfondo storico della ricostruzione italiana e del boom economico riplasma prepotentemente il teatro del rione e lo mostra come parte di una  maestosa realtà cittadina.
Napoli sboccia intorno al rione, comincia a mostrare la sua complessità, talvolta confusa  di città del sud. I commerci rifioriscono, l'imprenditorialità prende corpo anche nei più piccoli commerci. La delinquenza si insinua in modo surrettizio in questa crescita, la arricchisce  e ne rappresenta il lato oscuro e difficilmente estirpabile.
Non stupisce quindi che il ritmo di scrittura dei primi due volumi della saga sembri più godibile: la vicenda risponde infatti a una corrispondenza di sentimenti che ha il sapore dell’esemplarità, e sviluppa delle immagini narrative ed emotive che saranno indispensabili alla definizione del carattere delle protagoniste.

Tempo di mezzo, ovvero l’attenuarsi del tumultuoso fiume della vita

Storia di chi fugge e di chi resta  sancisce un inevitabile rallentamento del ritmo narrativo, lo scorrere tumultuoso dell’adolescenza cede il passo ad un ritmo in cui il colorito del linguaggio  si fa più sfumato: è l’inesorabile avvento dell’età adulta per le due protagoniste, sancito dalla loro età anagrafica e dal modo di interfacciarsi con la realtà che le circonda.
Elena lascia Napoli e si laurea in Lettere alla Normale di Pisa, scrive un romanzo e un racconto che sortiscono un discreto successo, si sposa, diventa madre e poi, ritrovando Nino Sarratore, l’amore idealizzato della sua vita, condiviso suo malgrado con Lila nell’estate di Ischia, sceglie di mandare all’aria il suo matrimonio per abbandonarsi alla passione.
 Lila, che è diventata madre di un bambino, ha lasciato il marito intraprendendo una unione di fatto  con l’amico d’infanzia Enzo Scanno; è andata a lavorare in fabbrica e ha cominciato a coltivare lo studio dei sistemi di calcolo che diventeranno la fonte dei suoi futuri guadagni. 
Nel loro susseguirsi gli avvenimenti non hanno più l’intensità esemplare e rappresentativa di quelli dell’infanzia e dell’adolescenza, ma si stratificano acquistando profondità.La scrittura si colora quindi delle sfumature della vita e si fa più lenta come più lento e ragionato è il ritmo biologico.
Rimane evidente come le vicende biografiche di Elena e Lina si completino andando a costruire un affresco a tutto tondo del loro tempo, Ciò che Lina non ha realizzato con la sua immensa e frustrata intelligenza è stato fatto da Elena, che per lei è appunto “l’amica geniale”, ma per realizzarsi e per uscire dal proprio guscio Lenù è diventata estranea al proprio rione, ha perso confidenza con il suo mondo di provenienza; del resto lei è fuggita da quella realtà in cerca promozione sociale.
Lina, che non ha mai voluto muoversi dalla sua Napoli,  ha conosciuto il lavoro di fabbrica e la condizione degli operai all’alba della contestazione, e ha cominciato a padroneggiare il linguaggio dei computatori, fino a diventarne esperta. Le due donne continuano a cercarsi, pensarsi e completarsi  in un continuo fluire di emozioni codificate nel flusso di pensiero e di scrittura di Elena.
Il ritmo dell’età adulta innerva anche Storia della bambina perduta. L’ultimo capitolo della saga racconta la fine del tempo di mezzo delle due donne, introdotta dal terremoto del novembre del 1980 e sancita dalla nascita pressochè contemporanea delle loro due figlie, dalla fine dell’amore illuso di Elena per Nino Sarratore che finalmente mostra la sua autentica natura di uomo che usa i propri appetiti sessuali per soddisfare le sue esigenze di arrampicatore sociale, e dalla tragica scomparsa della piccola Tina, la figlia di Lila. Chiaramente anche la perdita di sua madre costituisce per Elena un momento di importante passaggio, perchè sancisce la fine della sua condizione di figlia.
I colori delle vite di di Elena e Lina si intorbidano, irrimediabilmente intrisi dalla loro maturità di donne e di madri. Per quasi quindici anni vivranno praticamente di nuovo insieme, in due appartamenti posti uno sopra l’altro, e in questi quindici anni matureranno la coscienza che le loro strade sono destinate a dividersi. Così avverrà nel 1995, e da allora il loro diventerà un rapporto a distanza, la figura di Lila si affievolirà, continuando a soffrire, a coltivare la sua intelligenza attraverso l’uso del computer e le letture nella Biblioteca Nazionale di Napoli, a perseguire nella sua ritrovata solitudine il proprio scopo di dissolvimento.

Punti di vista

Il punto di vista della voce narrante coincide con quello di Elena/Lenù; è lei che racconta la vicenda e in questo gioco analettico sono quindi predominanti i suoi pensieri e preconcetti e la sua percezione di Lila come alterità disturbata e disturbante, personalità che innesca la sua competitività e la sua voglia di riscatto intellettuale e sociale. Il lettore non conosce i pensieri di Lina, ne osserva la storia, la vede agire e la percepisce con gli occhi di Elena, che le attribuisce comunque un’aura perturbata e perturbante in qualche modo avallata dai personaggi del rione.
Ma Elena è di fatto una scrittrice che sta fissando sulla carta una vita che ha segnato e plasmato la sua esistenza, in un continuo confronto e  scontro tra bios e logos, tra il violento e inesorabile fluire della vita reale e la sua rielaborazione e metaforizzazione nella scrittura.
La voce narrante domina la storia anche nella scelta del linguaggio, che nella riduzione cinematografica non può che essere quello dialettale della Napoli popolare e proletaria, ma nei romanzi è l’italiano perfettamente forgiato e sottomesso alla sua maniera di raccontare, il dialetto è solo raccontato, ridotto a qualche espressione chiave, ma non diventa linguaggio narrativo, per una chiara necessità letteraria che è quella del rispetto del punto di vista di chi racconta e crea.
Lila/Lina è una figura esemplare e geniale ma è a sua volta plasmata dalla scrittura dell’amica geniale che in lei vede la parte più istintiva e sanguigna di se stessa. Elena ha trasformato la vita della sua amica in letteratura, nella speranza di vedersi ripresa e arricchita dalla sua supposta vena narrativa.
Più volte nella narrazione Lina minaccia Elena che, se racconterà la loro storia, si intrufolerà nella sua scrittura per controllarla e modificarla se lo troverà necessario. Elena scrive che questo controllo non è di fatto avvenuto. Le pagine, come lei le ha ideate, non sono state modificate da nessun’altra mano. L’influenza di Lila è quindi tutta interiore, è la percezione che la narratrice ha di lei a plasmare il suo racconto.
L’alter ego dell’autrice costituisce la materia viva del suo racconto che, a differenza di tutti gli altri, essendo epopea di una vita e di tante vie ad essa intrecciate in un complesso ecosistema letterario e metaletterario, si ammanta della speranza di essere opera imperitura ed eternatrice.

Il sistema dei personaggi

Quello costruito da Elena Ferrante che racconta attraverso la voce di Elena Greco è un microcosmo di personaggi comuni ed esemplari, i primi tempi del racconto vedono agire sotto gli occhi delle protagoniste bambine le figure dei genitori e degli adulti che costituiscono la vecchia guardia del rione e della storia, ma intanto si delineano i loro  rapporti interpersonali che le seguiranno per tutta la vita. Ci sono la madre oppositiva e la maestra pigmalione, lo strozzino uomo nero e i suoi deboli antagonisti, il ferroviere poeta e la vedova pazza, e poi ci sono gli amichetti e i compagni di scuola, i figli, un po’ più grandi delle “personalità” del rione che mostrano già le inclinazioni dei loro genitori in un inevitabile ideale dell’ostrica che non li abbandona.
I tempi biologici di Elena e Lina corrispondono a quelli dei loro coetanei, che sbocciano e si definiscono insieme a loro. Realtà e finzione narrativa interagiscono e si intrecciano, in una sorta di continua interconnessione tra macrostoria e microstorie.
Con una chiara ed evidente sproporzione di genere, le ragazze e donne, ad esclusione di Elena e di Lina rimangono confinate nel loro ruolo di mogli, madri e amanti, non mostrando alcuna volontà di riscatto sociale, e adattandosi, talvolta loro malgrado, ad essere figure secondarie che si muovono all’interno della logica familiare.
I ragazzi e poi gli uomini acquisiscono invece un marchio sociale ben definito: Enzo il programmatore, Stefano l’imprenditore fallito, Rino il drogato, Antonio l’emigrato, Alfonso l’omosessuale, I Solara usurai e camorristi, Pasquale il terrorista - socialista, Nino Sarratore l’intellettualoide politico.
Ai personaggi del rione si devono aggiungere quelli che gravitano intorno ad Elena nel periodo universitario e nella sua vita di fuggitiva dalla realtà Napoletana: Franco Mari, il compagno di Elena ai tempi dell’Università, l’intera famiglia Airota, in cui spiccano la suocera Adele e il marito e padre delle sue due prime figlie Pietro.
Un’evoluzione nel sistema dei personaggi si compie proprio con la nascita delle figlie di Elena, in quanto, prima Dede ed Elsa, figlie di Pietro, e poi Imma, nata dalla sua relazione con Nino, costituiscono delle alterità da educare e da plasmare, ed Elena, racconta le proprie legittime difficoltà di madre e di donna in carriera che si interfaccia con loro.
Diversamente agiscono Gennarino e Tina nel fluire della vita di Lina: Il primo è il figlio di un’adolescente che diventa sempre più altro da sua madre, Tina è la figlia fortemente amata e perduta per una disgraziata distrazione, che segna sancisce la sua definitiva destabilizzazione di donna.

Ricomposizione (e restituzione)

Nell’epopea di Lila e Lenù stratificazione letteraria, biografica e metaletteraria si saldano studiatamente: l’autrice dei romanzi ha lo stesso nome e, secondo gli scarni dati della sua biografia, è concittadina della sua voce narrante, tuttavia quella di Elena Ferrante è un’identità fittizia che, agli occhi del lettore mostra dei punti di intersezione con il personaggio che ha costruito.
Quasi al termine della sua vicenda Lenù riflette sulla sua opera letterari: è istigata dai toni canzonatori con i quali le sue figlie, ormai adulte, rileggono alcune pagine dei suoi romanzi durante una riunione Natalizia di famiglia. In quell’occasione Elena si accorge della debolezza strutturale delle sue storie e dell’inconsistenza della sua immagine di scrittrice che di fatto non ha mai scritto nulla di memorabile,  e  viene presa dal timore che, proprio al crepuscolo delle loro vite, il genio di Lila emerga finalmente riversandosi in un’opera letteraria unica che le dimostrerà che non è mai stata capace davvero di scrivere.
Questa paura è tuttavia esorcizzata nella riscrittura della loro storia: le vicende narrate da Elena nei suoi romanzi probabilmente non saranno memorabili, pur essendo state fonte di guadagno per lei, ma la rievocazione della sua vicenda e di quella di Lila è chiaramente riscrittura di una vicenda memorabile. La negazione del valore di scrittrice di Elena Greco diventa affermazione del valore imperituro della sua storia di amicizia con Lila, fissato nella sua stessa narrazione.
La ricomposizione della vicenda avviene nel nome dell’infanzia e di Tina, figlia perduta di Lina e bambola perduta di Elena.
Di Lina non ci sono più tracce, suo figlio Rino si è rassegnato alla sua misteriosa sparizione.
Elena, tornando a Napoli qualche volta, ha potuto constatare che la sua amica ha davvero cancellato ogni traccia di sè. Intanto in una continua riflessione metaletteraria la voce narrante annuncia di aver terminato il suo romanzo e in una mattina come tante le vengono recapitate due bambole che hanno oltre mezzo secolo. Una è la bambola di Lila, l’altra è la sua Tina; la loro amicizia era iniziata proprio quando queste bambole sembravano irrimediabilmente perdute, gettate da Lila negli scantinati di un caseggiato del rione. Il loro ritrovamento è chiaramente un messaggio, che sancisce la perdita irrimediabile e volontaria di Lila come personaggio fisico, e la chiusura di un’amicizia intesa come comunicazione e interconnessione; tuttavia sottende anche un messaggio positivo: il cerchio narrativo si è ricomposto in nome di quell’amicizia, conclusa dal punto di vista comunicativo ma non perduta, in quanto è stata eternata  consapevolmente nelle parole dell’ Amica geniale.