lunedì 10 marzo 2014

Ciao Harry! Riflessioni (sentimental-letterarie) al termine di un percorso di letture Potteriane (seconda parte)




2. Dalla saga alla trilogia

A ben vedere sono soprattutto gli ultimi tre episodi della Saga di Harry Potter a costruire un percorso omogeneo, in cui la storia fluisce con maggiori interconnessioni. Questo non vuol certamente dire che gli altri romanzi presentino delle pecche d’integrazione, semplicemente i toni che li caratterizzano sono diversi.
La Pietra Filosofale e La Camera dei segreti sono di fatto i romanzi del crepuscolo dell’infanzia di Harry, anche il confronto che instaura con il Signore Oscuro è indiretto (nel primo episodio) e mediato dai ricordi adolescenziali di quest’ultimo (nel secondo episodio).  Il prigioniero di Azkaban è già altra cosa rispetto ai primi due romanzi,  non solo per le scoperte compiute da Harry, ma soprattutto perché in questo episodio il suo contatto con il male si approfondisce e si complica dolorosamente per  esperienza e agnizione: la scoperta dei Dissennatori è certamente una svolta in tal senso, ma anche quella del ruolo di Crosta/Codaliscia sortisce la sua importanza per il seguito della vicenda.
Il calice di fuoco segna, come abbiamo già avuto modo di accennare, un punto di svolta molto importante in quanto rappresenta il romanzo della reincarnazione del male, ovvero del Signore Oscuro; dal punto di vista narrativo è questo l’episodio che attesta un cambiamento forte all’interno della saga, perché il male acquista delle sembianze e un volto definito benchè indefinibile, sebbene sia appunto con  L’Ordine della Fenice  che si definiscono i ruoli, si innestano collegamenti forti tra bene e male, che non sono solo connessioni oppositive: la vicenda è pronta a mostrare i suoi sviluppi conclusivi.
 Il segno che L’Ordine della Fenice, Il Principe Mezzosangue, e I Doni della Morte,  sono di fatto associabili in una sorta di trilogia della seconda adolescenza di Harry, ci è dato anche dai cambiamenti che si percepiscono nella figura di Severus Piton, personaggio controverso, all’interno della saga, che soprattutto nei primi tre romanzi è una figura diametralmente opposta a quella di James Potter, al quale, tuttavia, a detta di Silente e come si scoprirà nel diciottesimo capitolo del  Prigioniero di Azkaban, deve la vita. Non si intuiscono ancora i risvolti sentimentali che caratterizzeranno l’ultimo episodio della saga, ma già nell’Ordine della Fenice, la Rowling tratteggia un Piton adolescente, bizzarro, timido e infelice, e accenna appena al suo legame con Lily, la madre di Harry.
Il Principe Mezzosangue non è il romanzo di Piton, sebbene questo epiteto gli appartenga, e benché sia lui l’apparente trionfatore nel male della vicenda narrata.
Questo è di fatto il vero romanzo di Lord Voldemort, la cui vita viene passata al setaccio attraverso i ricordi conservati da Silente e riproposti ad Harry nel suo pensatoio. La sua famiglia, l’infanzia dolorosa, il fascino delle arti oscure, il suo bisogno di vincere la morte, sono raccontati in queste pagine che culminano nella ricerca degli Horcrux, oggetti (e soggetti) contenenti pezzi di un’anima fatta a brandelli, dilaniata da sette omicidi, e che l’hanno resa apparentemente immortale, oggettivandola e simbolizzandola di fatto in un piccolo insieme di sinistre morti viventi: Il diario di Tom Riddle, l’anello di famiglia dei Gaunt, il medaglione di Serpeverde, la coppa di Tassofrasso, il diadema di Corvonero, il serpente Nagini e lo stesso Harry sono degli Horcrux, sinistramente significativi anche a livello affettivo per Voldemort.
È nel Principe Mezzosangue che Harry apprende dalle parole di Silente della distruzione più o meno consapevole dei primi due (il diario di Riddle è stato distrutto già nel secondo episodio, e proprio Silente ha annullato i poteri dell’anello dei Gaunt, con conseguenze mortifere) e comincia insieme al Preside ormai agonizzante la ricerca ragionata degli altri, rimanendo tuttavia all’oscuro, fino alla fine che l’ultimo Horcrux da distruggere è lui stesso.

Il Principe Mezzosangue è quindi l’episodio della saga in cui il passato di Tom Riddle/Lord Voldemort, riemerge nella sua straziante e dolorosa verità, ma è anche il romanzo in cui si conclude la vita mortale di Albus Silente, aprendo tanti interrogativi sulla sua persona che saranno risolti solo ne  I doni della Morte.
L’episodio conclusivo della saga appartiene infatti a Silente, istituendo una sorta di opposizione binaria con il Principe Mezzosangue.
In esso gli interrogativi di Harry sul passato di questo grandissimo mago trovano man mano risposta, il ritratto che emerge è di fatto quello di un regista che ha mosso sapientemente le sue pedine per raggiungere un ineffabile quanto indispensabile bene superiore.  Un concetto difficile da interiorizzare per gli altri protagonisti della vicenda, al punto da farlo passare  per un mostro agli occhi del fedelissimo Piton, quando l’uomo scopre qual è il destino di Harry.
Di Silente rimarrà sempre l’impressione che non sia stato detto tutto, se Voldemort è la perfetta esplicitazione del male nato dal dolore della mancanza di una qualsiasi forma di amore e dall’abbandono, Albus è una figura perfetta nelle sue ombre, ha accarezzato il lato oscuro della magia nella sua adolescenziale amicizia innamorata con Gellert Grindelwald, si è comportato da egoista nei confronti dei suoi affetti familiari chiudendosi ai bisogni della sorella Ariana affidata alle cure del fratello Abelfort, e vivendo la sua avventura adolescenziale con quello che sarebbe diventato il suo primo grande nemico dopo essere stato il suo più grande amico, alla ricerca dei Doni della Morte.
Eppure, a ben vedere, proprio la disavventura della sorella Ariana, molestata e rovinata per sempre da tre ragazzi babbani mentre da bambina si cimentava in una innocente magia, e quella del padre di Silente, rinchiuso ad Azkaban dopo essersi vendicato per aver aggredito gli aggressori di sua figlia, rappresentano  il motore che attiva la ricerca di un bene superiore che non può passare per l’odio e per la vendetta, né tantomeno per il potere rappresentato dalla purezza del sangue o dai mitici Doni della Morte che permetterebbero al loro possessore di dominarla.
Harry comprende l’ineffabile necessità di questo bene e la scaraventa davanti ad Abelforth,  ancora turbato e arrabbiato per le scelte compiute dal fratello maggiore mentre rievoca la dolorosa fine di Ariana:

-Scoppiò una lite...io presi la mia bacchetta e lui la sua, e il migliore amico di mio fratello mi inflisse la maledizione Cruciatus...Albus cerco di fermarlo e ci ritrovammo tutti e tre a lottare, e i lampi e le esplosioni la facevano impazzire, non riusciva a sopportarlo...-
Il volto di Abelforth impallidì come se avesse subito una ferita mortale.
-...io non credo che volesse aiutarmi, ma non sapeva quello che faceva: non si chi di noi sia stato, potrebbe essere stato chiunque...e morì-.
La voce gli si spezzò sull’ultima parola e poi si lasciò cadere sulla sedia più  vicina [...]
-Naturalmente Grindelwald tagliò la corda. Aveva già collezionato una bella lista di malefatte nel suo paese e non voleva che anche Ariana fosse messa sul suo conto. E così Albus era libero. Libero dal fardello della sorella, libero  di diventare il più grande mago del...-
-Non è mai stato libero- lo interruppe Harry.
-Come?- Chiese Abelforth.
-Mai- ripetè Harry. “La notte che morì suo fratello aveva bevuto una pozione che lo fece uscire di senno, Urlava, supplicava qualcuno che non c’era.  -Non far del male a loro, ti prego...fai male a me, invece-. [...]
-Credeva di essere di nuovo con lei e Grindelwald, lo so- continuò Harry, ricordando il piagnucolio e le suppliche di Silente. ”- Vedeva Grindelwald che faceva del male a lei e ad Ariana...era una tortura per lui: se l’avesse visto allora, non direbbe che era libero-.
Abelforth sembrava smarrito nella contemplazione delle proprie mani nodose e coperte di vene. Dopo una lunga pausa domandò: - Come fai, Potter,  a essere sicuro che mio fratello non fosse più interessato al bene superiore che a te? come fai a essere sicuro di non essere superfluo, come la mia sorellina?-
Una scheggia di ghiaccio perforò il cuore di Harry.
-Non ci credo. Silente voleva bene a Harry- intervenne Hermione.
-Perchè non gli ha detto di nascondersi, allora?- Ribattè Abelforth. ” Perchè non gli ha detto: -Pensa a te stesso, è così che si sopravvive?-
-Perchè- rispose Harry, prima che potesse farlo Hermione, -a volte  bisogna pensare a qualcosa di più della propria salvezza!  a volte  bisogna  pensare al bene superiore! Questa è una guerra!-[1]

Nel suo ultimo colloquio disincarnato con Harry, che avviene in un non-luogo spirituale simile alla stazione della metropolitana di  King’s cross, Silente riconosce di essere stato un debole nella sua adolescenza e nell’età adulta, tuttavia ha lottato perché trionfassero la giustizia e quella forma di bene scevra da ogni egoismo, onnicomprensiva, affatto priva di spirito di sacrificio, una forma di bene figlia dell’amore inteso come greca agàpe. I Doni della Morte, e in particolare la Pietra della Risurrezione, estremi desiderata di un Silente che non ha mai superato pienamente le sue debolezze di uomo, ma è riuscito a dominarle nello stesso modo in cui ha dominato la Bacchetta di Sambuco, assurgono a simbolo di una battaglia conclusa nella vita vera e piena, consacrata all’amore e vinta dal giovane Harry:

- Lei ha provato a usare la Pietra della Resurrezione-.
Silente annuì.
Quando la trovai, dopo tutti quegli anni, sepolta nella dimora abbandonata dei Gaunt, il Dono che più avevo bramato - anche se in gioventù l’avevo desiderato per tutt’altre ragioni -persi la testa, Harry. Quasi dimenticai che era diventata un Horcrux, che l’anello certamente conteneva una maledizione.  Lo presi e me lo infilai e per un attimo immaginai che avrei visto Ariana, mia madre, mio padre, e che avrei detto loro quanto mi dispiaceva...
- Fui uno sciocco, Harry. Dopo tutti quegli anni, non avevo imparato nulla. Ero indegno di riunire i Doni della Morte, l’avevo dimostrato più e più volte, e questa era la conferma.-
- Perchè?- Chiese Harry. - Era naturale! Voleva rivederli. Che cosa ha sbagliato?-
- Forse un uomo su un milione potrebbe riunire i Doni, Harry. Io sono stato capace solo di possedere il più crudele, il meno straordinario. Sono stato in grado di possedere la Bacchetta e di non vantarmene e non usarla per uccidere. Mi è stato concesso di dominarla e usarla, perchè l’avevo presa non per mio tornaconto, ma per salvare altri da lei.
- Ma il Mantello l’ho preso solo per futile curiosirtà, e quindi non avrebbe mai potuto funzionare per me come per te che ne sei il legittimo proprietario. Avrei usato la Pietra per richiamare indietro coloro che sono in pace, invece che per consentire il saacrificio di me stesso, come hai fatto tu. Tu sei il degno possessore dei Doni-.
Silente battè sulla mano di Harry, che alzò lo sguardo sul vecchio e sorrise; non riuscì a trattenersi. Come faceva ad essere ancora arrabbiato con lui?
- Temo di aver sperato che la signorina Granger ti frenasse, Harry. Avevo paura che la tua testa calda avesse la meglio sul tuo buon cuore, che se tu avessi saputo tutto fin da subito su quegli oggetti tentatori  avresti potuto gettarti sui Doni come feci io, al momento sbagliato, per le ragioni sbagliate. Se dovevi metterci le mani sopra, volevo che li prendessi senza rischi. Tu sei il vero padrone della morte, perchè il vero padrone non cerca dei sfuggirle. Accetta di dover morire e comprende che vi sono cose assai peggiori nel modo dei vivi che morire-.[2]

La complessa vicenda biografica ed emotiva di Silente trova quindi il suo pieno compimento nel martirio di Harry che assurge a figura larvatamente cristologica, pronta al sacrificio per un bene superiore e vera dominatrice della Morte.
Ma anche il coraggioso martirio del professor Piton, che è vissuto e morto  nascondendo la parte migliore di sè e proteggendo Harry in nome dell'amore imperituro per sua madre Lily, è un'altra testimonianza dell'esistenza di quel bene superiore, la cui percezione permette di  oltrepassare anche la paura della morte.

I doni della morte, è senz’altro il romanzo più complesso dell’intera saga di Harry Potter,  anche per i suoi larvati riferimenti alla storia contemporanea: la plumbea atmosfera di guerra che si distende tra le pagine culmina nei chiari riferimenti alla  Shoah, soprattutto quando si fa cenno alla delibera del Ministero della magia, controllato da Voldemort, di tenere sotto controllo la popolazione magica fin dalla giovane età, alla ricerca di un’inaudita purezza del sangue magico.
 La figura del mago oscuro, nato Mezzosangue, si associa automaticamente  e geneticamente a quella di Hitler, persecutore degli ebrei che tuttavia aveva origini ebraiche, in un interessante connubio tra realtà storica e fantasia.
Abbiamo già avuto modo di accennare che Voldemort, cercando di interpretare la profezia sulla sua possibile sconfitta “ha scelto” di segnare come suo pari “il ragazzo che a suo parere aveva più probabilità di costituire un pericolo”: il mezzosangue Harry, preferendolo al purosangue Neville Longbottom; eppure, sarà proprio Neville ad annientare l’ultimo Horcrux, il serpente Nagini, annullando definitivamente  l’immortalità del Signore Oscuro e offrendolo ad Harry ormai privo di difese.
La profezia quindi si rivela sibillina, perché attribuisce ad entrambi i giovani un ruolo fondamentale per la definitiva distruzione di Voldemort.


 3. Una Conclusione  (?)

Concludere la lettura della saga di Harry e dei suoi amici produce una necessaria malinconia: è difficile lasciarli andare, lo è ancor di più quando si è continuamente bombardati dalla versione cinematografica delle loro avventure, e dalle peregrine dichiarazioni della Rowling, che probabilmente afflitta  dalla “sindrome di Torquato Tasso” ha  affermato che dovrebbe riscrivere il romanzo, facendo sposare Harry con Hermione, e distruggendo, a mio parere, il perfetto equilibrio di relazioni e sentimenti che è riuscita a edificare e che consente ad Harry,  Hermione e Ron di costruire un legame d’affetto più solido e articolato, all’interno della famiglia Weasley.
Tuttavia la rivelazione più interessante è stata senza dubbio quella in merito all’omosessualità di Silente, la quale  è tuttavia difficilmente percepibile nella sua relazione adolescenziale con Grindelwall.
Queste annotazioni al margine del mio innocente esercizio di scrittura testimoniano come neanche la Rowling sia in grado si lasciare andare la storia che ha costruito, certamente anche per un tornaconto personale quale quello di mantenere alto l’interesse dei giovani lettori intorno alla sua opera.
Ben venga una riscrittura dei romanzi, si chiariscano i rapporti fra i personaggi, ma rimanga chiaro che tutti questi tentativi sono altra cosa rispetto a quello che è la saga di Harry Potter quale è uscita dalla prima penna della Rowling; una saga che vive ormai di una vita propria e non può ricevere degli aggiustamenti o dei chiarimenti esterni, perché non le appartengono, come non appartengono più all’autrice le parole uscite dalle sue mani: Harry Potter appartiene ai lettori, che non possono fare a meno di riconoscere il fascino senza tempo di questa storia, consacrandola all’altare dei classici e sentendo una profonda malinconia dopo aver passato quasi un anno in sua compagnia (e quasi un decennio insieme ai suoi film).
Ciao Harry! Fortunatamente nulla mi vieta di ritornare a mettere il naso tra le pagine della tua avventura...
...Del resto la tua straordinaria vicenda è anche mia...




[1] J. K. Rowling,  Harry Potter e i Doni della Morte, Milano, Salani, 2013  pp.493-495
[2]Ibidem,  pp.623-624.

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