Per un qualsiasi docente
di lettere, e in generale per chiunque ami la lingua italiana e sia disposto a
riconoscerne la naturale vitalità, Femminili singolari di Vera Gheno, (
Effequ, 2019) sarà una scoperta
entusiasmante; un saggio da leggere per quello che davvero è e non solo per ciò
che rappresenta a prima vista.
In questo saggio pop, La
sociolinguista, specializzata in comunicazione mediata tramite i computer (Social-
linguista si definisce), affronta, mediando appunto tra linguistica e
sociologia, il tema dei sostantivi femminili, e disegna un quadro mosso e
complesso nella sua estrema semplicità: il meccanismo linguistico declina al
femminile cariche istituzionali e lavori che fino a qualche tempo fa erano
appannaggio degli uomini; le nuove costruzioni linguistiche, giustificate e
giustificabili in quanto si innestano nel naturale processo creativo della
lingua, che si muove nelle sue forme declinabili senza in realtà mai uscire dal
seminato, fa storcere il naso a molti sedicenti puristi, i quali si appellano
invece ad autorità linguistiche superiori per avallare le proprie opinioni.
Il naturale arricchimento
linguistico trova quindi dei paletti che hanno origine sociologica: la
supposta cacofonia di parole come “sindaca, ministra, avvocata,
architetta, ingegnera” è ampiamente disquisita, e sono evidenziate dall’autrice
le motivazioni delle resistenze che si nascondono dietro il rifiuto urlato a
gran voce da molti uomini e donne di usare determinate terminologie. Tuttavia
la femminilizzazione dei termini non deriva da alcun capriccio, quanto
piuttosto da un necessario riconoscimento dell’esistenza di determinati ruoli
declinati al femminile.
Descritto in questo
modo…il saggio può sembrare…noioso e forse anche politicamente orientato…e
invece no. Quella di Femminili singolari è una lettura
divertentissima e stimolante, che muovendosi dalla teoria linguistica, con
approfonditi riferimenti alla morfologia del nome e al lessico, si muove
attenta e divertita tra le testimonianze
dei social e dei media, osserva come la lingua viva dibatta su se stessa in un
continuo gioco metalinguistico che spesso perde la bussola: insomma si comporta
con se stessa un po’ come se fosse una lingua morta, arroccandosi su posizioni
a dir poco vetuste per ragioni che hanno ben poco di linguistico.
La lingua viva è possesso
delle persone che la usano come codice di comunicazione, questa si adatta
naturalmente ai cambiamenti sociali, ma tale naturalità si scontra con la
difficoltà nell’ accettare la femminilizzazione dei ruoli, difficoltà che mostrano
di avere le stesse donne, e che riconosco talvolta anche in me: ecco che,
nell’ottica del lifelong learning che dovrebbe interessare tutti, ma che
deve necessariamente toccare in maniera più stringente la classe docente, e
nello specifico, per questa tematica, i docenti di italiano, questo libro è
utilissimo per scardinare alcuni pregiudizi linguistici, ma soprattutto per
comprendere come questi non siano supportati
a livello teorico. La grammatica si muove nella giusta direzione: ciò
non significa che le parole che vengono rideclinate per i ruoli al femminile
suonino bene: l’eufonia non è un dato linguisticamente vincolante se c’è una
correttezza formale indiscutibile e se l’uso
continuato le sancisce come lecite. E sicuramente importante che i parlanti prendano coscienza di questa indubbia
verità, e non stiano a urlare su social la loro indignazione declinando ad esempio in maniera polemicamente scorretta
parole indeclinabili in quanto ambigeneri ( pediatra che diventa pediatro
maschio) e appellandosi all’insindacabilità del correttore di word che non
riconosce nel loro valore di sostantivo femminile parole come architetta o
muratrice.
Il femminismo è nelle
parole, recita il sottotitolo di questo illuminante saggio che, arricchendomi e
chiarendomi le idee sulla flessibilità di genere che la nostra lingua indubbiamente
possiede (mentre, invece, che ci piaccia o no, non possiede il genere neutro)
mi ha regalato anche la conoscenza di una nuova utilissima parola:
“Minchiarimento”, espressione che traduce in lingua italiana il significato del
termine mansplaining, e interpreta molto bene quelle forme di
paternalismo maschile e maschilista che si esplicano attraverso l’imposizione
del proprio punto di vista da parte dell’uomo che tende a sminuire quello della
donna: chiaramente ne farò uso, anche se il riferimento ai genitali maschili
può essere un po’ urtante nella sua espressività estrema.
Ma questo saggio mi ha
permesso di riflettere sulla mobilità e vitalità dell’italiano dal punto di
vista del genere femminile, inteso proprio come genere grammaticale che nella
sua vitalità è genere sociale. A volte sono state riflessioni scomode, ma
auguro a tutti i lettori di Femminili singolari di svolgere tutti delle
dovute scomode riflessioni, perché
nell’autocritica costruttiva oltre che nella conoscenza di quelle che sono le
regole grammaticali, le quali non hanno nulla di scientifico inteso come
immodificabile, si può trovare la giusta chiave per parlare e scrivere in un
italiano che sia corretto e consapevole.
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