Intorno al mese di gennaio mi sono imbattuta in un post
facebookiano recante un fumetto (parte di una graphic novel volendo fare la poliglotta) che mi ha piacevolmente
colpita: si trattava della prima storia del libro Bastava chiedere della blogger francese Emma, pubblicato a febbraio di quest’anno da
Laterza.
La storia, raccontata con una leggerezza e una facilità
disarmante mi ha piacevolmente colpita, infatti mi sono riproposta di
acquistarlo appena lo avrei trovato in libreria; cosa che ho fatto praticamente
subito…è stato l’ultimo libro che ho acquistato prima del lockdown. Dovendo concludere qualche altra lettura l’ho messo in
attesa…ma fortunatamente le attese non sono così lunghe quindi…reduce da didattiche
a distanza varie ed eventuali…mi sono finalmente concessa questa lettura
femminista.
La modalità fumettistica permette una facile fruizione di
questo testo che ho praticamente divorato; avrei visto l’introduzione di Michela Murgia più come una postfazione perché ha giusto un pochino anticipato qualche
concetto di troppo, (ma lì la colpa è mia come lettrice…le introduzioni, se non
sono dell’autore, è meglio leggerle alla fine) tuttavia la scrittrice è
riuscita a costruire un’aspettativa molto equilibrata, anche se non
indispensabile.
Il concetto chiave di “carico mentale” introduce e sottende
queste dieci storie di femminismo quotidiano, ed è senza alcun dubbio una
piccola rivelazione per quante, come me, non bazzichino più di tanto (e lo dico
con la massima umiltà) il mondo delle femministe.
“Carico mentale” è appunto quella condizione nella quale si
trova un po’ tutto il genere femminile che si vede sommerso da un lavoro
accudimento, di organizzazione e gestione domestica invisibile, continuo e
sfiancante; questo lavoro si aggiunge (o nel peggiore dei casi, ovvero molto
spesso, si sostituisce) alle occupazioni remunerative , e se le donne vogliono
conciliare pubblico e privato si vedranno spesso costrette a demandare ad altre
donne alcune mansioni che vengono loro culturalmente affibbiate dal genere
maschile.
Il fil rouge che
si dipana in questo adattamento in lingua italiana si focalizza in particolar
modo sul genere come ruolo socialmente determinato e difficile da modificare,
sebbene non impossibile; il quadro che emerge è abbastanza tipico: se una donna
mostra un atteggiamento aggressivo è socialmente criticabile (anche dalle altre
donne), le donne sono le custodi del
lavoro riproduttivo e del carico emotivo a differenza degli uomini impegnati in
quello produttivo; il sesso femminile non conosce bene se stesso e le sue
possibilità, aldilà di quella tipica della maternità e dell’accudimento, in tal
senso è veramente indicativa la sezione sul clitoride (ancora sconosciuto e
tanto bistrattato e violato nella passata e contemporanea consapevolezza
sessuale, in quanto utile “solo” al piacere femminile), ma soprattutto il corpo
femminile continua ad essere oggetto di reificazione e mercificazione, agli
occhi di entrambi i generi.
Con una facilità iconografica e linguistica davvero
disarmante Emma accompagna i lettori
attraverso usi, costumi, e luoghi comuni che affliggono l’universo femminile e
il modo di rapportarsi tra uomini e donne, lo fa citando il pensiero delle varie
correnti femministe, indagando su dati statistici e chiaramente osservando le
donne e il loro vissuto.
Facilità in questo specifico caso non è
tuttavia sinonimo di semplicità. La
simpatia delle immagini, la loro immediatezza e il perfetto amalgama
iconico-testuale si traducono in un tessuto narrativo complesso e per certi
versi difficile da accettare, perché
quello di Emma è un testo epifanico, e le epifanie non sono sempre
positive, possono essere dolorose, produrre un turbamento, ma sono senza alcun
dubbio utili per dare una scossa alle situazioni contingenti perché inducono
alla riflessione.
Alcune verità ci infastidiranno...perchè le donne di cui
l’autrice parla siamo proprio noi ( se ci mettiamo anche l’affinità
generazionale...è fatta) ma l’intelligenza di questa graphic novel sta nel puntare sul ruolo fondamentale
dell’educazione delle generazioni future
per cambiare le cose. Certo, dovremmo educarci ad educare, e quella è la
parte più difficile: perchè i primi ad interiorizzare un clichè siamo noi, genitori e
maestri delle nuove generazioni. Se facciamo un pochino di autocritica ci
accorgeremo di essere tutti “vittime” dell’ interpretazione dei generi, e testi come quelli di Emma ci servono a
lavorare su noi e sugli altri prendendo
consapevolezza di quello che effettivamente e socialmente siamo.
Bastava chiedere è un testo da leggere, rileggere e
far leggere, e usandolo anche nelle
agenzie educative con le dovute “cautele didattiche”, espressione virgolettata
perchè non intendo associarla ad una sorta di “bacchettonaggine” scolastica
della quale sono comunque conscia e
consapevole.
Questa graphic
novel è senza dubbio un intreccio di
parole ed immagini che mette in discussione le
specificità di genere socialmente
definite e avallate e proprio per questo dovrebbe essere condivisa da
tutti senza troppi giri di parole, perchè vuole educarci a educare a una
società più equa nelle sue differenze: si propone quindi un compito ambizioso
con una leggerezza che lascia un segno profondo, e (ci si augura) indelebile e
trasmissibile in quella che dovrebbe diventare una nuova normalità.
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