Approcciarsi
e riflettere sull’epopea costruita da Elena Ferrante è quasi un obbligo per chi
si professa lettore, considerato anche il suo successo ulteriormente sancito
dalla riduzione in fiction dei romanzi de L’amica
geniale.
Dal
momento che l’edificio di carta è antecedente a quello di celluloide e lo
ispira, non è possibile non curiosarci dentro per indagarne le interconnessioni
narrative e osservarne il valore letterario.
Una
prima inevitabile constatazione è che i quattro romanzi del racconto di formazione
dell'Amica geniale mostrano un solido
impianto narrativo, in cui le microstorie dei personaggi si saldano al doppio
scenario storico e geografico modificandolo ed essendone a loro volta
modificate.
Cominciamo
dalla fine…
Il
prologo dell’Amica geniale è di fatto alba e tramonto di un bildungsroman che si apre e si dipana
con una specifica necessità, quella di evocare un’assenza: l’amica di una vita
della voce narrante è scomparsa, cancellando ogni minima traccia di sé.
La
perdita si traduce quindi nella necessità impellente di raccontare, riportando
in vita un flusso biologico che è stato trasformato e deformato dal tempo:
amicizie, vite, storie, amori, dolori che si delineano su uno sfondo temporale
di quasi settant’anni.
Il
lettore si trova immerso in un poderoso flashback
che tenta di definire e fissare, avvalendosi un complesso tessuto
narrativo, il flusso di due vite che sono entrambe geniali nella loro unicità e
specificità che è l’unicità e la specificità di ogni vita; proprio per questo motivo è quasi inevitabile
ritrovarsi avvinti da questo imponente
affresco.
Questa
è la prima impressione che si ha cominciando a leggere L’amica geniale, una percezione che accompagnerà a lungo il
lettore, almeno fino a che non arriverà al termine dell’ultimo romanzo di questa epopea contemporanea in cui
avverrà la ricomposizione di una cornice molto più complessa e stratificata…
Un’amicizia
L’ultimo
romanzo scritto da Elena Greco si intitola Un’amicizia. In esso la protagonista,
nonchè voce narrante della saga de L’Amica
geniale, racconta la sua pluriennale amicizia con la coetanea
Raffaella/Lina Cerullo e istituisce una volontaria connessione metaletteraria
tra il romanzo condiviso e consumato dal lettore e il racconto della propria
esperienza di vita. Un’amicizia è
quindi L’amica geniale e viceversa,
le due storie hanno il medesimo scopo: rievocare, tirare fuori dal fiume del
tempo e fissare sulla carta una vicenda per non permettere all’altra
protagonista di annientarsi come lei vorrebbe.
Il
legame che si definisce nella Storia di
Don Achille è speciale ed assoluto, sancito dall’esclusività del nomignolo
che Elena/Lenù attribuisce all’amica Raffaellina: Lila. Per tutti Raffaella
Cerullo sarà Lina, per Elena rimarrà sempre e soltanto Lila.
Le
due bambine sono figlie di un rione della città di Napoli, nate all’inizio
degli anni Quaranta. Lenù è bionda, rotondetta, graziosa, e presto miope,
figlia primogenita di un usciere. Lila è una
brunetta sottile, figlia di un calzolaio. Frequentano la stessa classe
delle elementari, condividono gli stessi luoghi di gioco e respirano le stesse
esperienze, conoscono le medesime mitologie di quartiere trasmesse loro dalle
voci degli adulti.
Il
teatro che le vede sbocciare e scoprire giorno dopo giorno la vita è crudo,
fatto di arcane violenze che si traducono in linguaggi e comportamenti che
tutti i membri del rione sanno decifrare e declinare. La loro amicizia è di
fatto un nucleo intorno al quale graviteranno tante vite che in un modo o
nell’altro le influenzeranno e le segneranno più o meno profondamente.
A
ben vedere questa amicizia geniale non è tanto diversa dalle comuni amicizie
che durano un’intera vita: due bambine si scelgono e nella loro diversità si
completano, l’esemplarità del loro legame è data dalle scelte diametralmente
opposte che sembrano compiere nei loro percorsi di vita, scelte che tuttavia,
nel periodo storico e nei luoghi fisici e dell’anima in cui si dipanano, non
sono così poco comuni, sono piuttosto figlie dei tempi e delle loro effettive
possibilità familiari.
Le
accomuna una non comune intelligenza, Elena potrà coltivarla seguendo i canali
ortodossi della formazione scolastica, Lila sarà costretta a reprimerla e
frustrarla perché non le sarà permesso di continuare gli studi oltre la quinta
elementare, ma cercherà di riplasmarla e coltivarla in tutti i modi possibili.
Intorno
alle due bambine, ragazze, donne c’è un mondo che cambia, e conosce tutti i
vorticosi mutamenti del secondo dopoguerra: la ricostruzione, la contestazione,
la corruzione della camorra, le ombre del terrorismo, la fine di una
repubblica, l’inizio di un’altra, l’avvento dei computatori che diventano
computer e pc.
Quella
di Lila e Lenù è un’amicizia pluriennale che conosce alti e bassi, momenti di
profonda empatia e simbiosi e momenti di lontananza e di silenzio, ma che
comunque non si spezza per la volontà di entrambe le protagoniste di non
perdersi, perché il loro legame si intreccia alle loro radici e da esse è
nutrito.
Primi tempi, ovvero l’arte
dell’immedesimazione
Appena
il lettore oltrepassa la soglia del prologo si ritrova immerso nella struttura
analettica del romanzo e i primi tre tempi narrativi cominciano a scorrere
sotto i suoi occhi in un avvincente turbinio di impressioni ed emozioni.
Sono i tempi dell’infanzia,
dell’adolescenza e della giovinezza di Lila e di Lenù, ovvero i tempi in cui
l’epica della vita mostra i suoi colori più suggestivi, resi più nitidi o
sfaccettati dall’immaginario delle protagoniste.
Il lettore si immedesima con
facilità nelle loro vicende, stabilendo una sorta di connessione empatica che è
tuttavia anche abbastanza tipica: l’infanzia, l’adolescenza e la giovinezza di
ognuno di noi sono di fatto i momenti in cui avvengono e si fissano fatti e
ricordi che alimentano i mitologemi della vita di ognuno di noi. I sentimenti
sono amplificati, le amicizie e gli amori posseggono il tono dell’esemplarità
e sono guidati da da un sentire a tutto
tondo, che non conosce mezzi termini e mezze verità.
Se anche l’adolescenza di Lila la
proietta nel mondo e nella logica degli adulti, dal momento che ad appena
sedici anni è già sposata, in realtà la sua condizione è quella tipica di molte
ragazze che vivono nello stesso sfondo storico: sposarsi a una così giovane
età, negli anni 50 non era certamente un fenomeno così singolare. Certamente
diversi elementi appartenenti alla vita adulta si innestano e modificano la sua
spensieratezza adolescenziale, e infatti da questo punto di vista a sua
“partecipazione” ai ritmi scolastici della liceale Lenù costituiscono quasi una
compensazione rispetto ad una mancanza. Oltretutto la sua iniziale incapacità
di rimanere incinta e la diagnosi del medico che le consiglierà di andare a
prendere un po’ di sole per rinforzarsi e “maturarsi” la riporta biologicamente
ad una dimensione nettamente pre-adulta.
L’estate passata ad Ischia dalle due
ragazze, accompagnate dalla madre il Lila Nunzia e dalla cognata Pinuccia, è
l’atto centrale di questa epica dell’adolescenza. La passione della giovane per
Nino Sarratore, oggetto del desiderio della sua migliore amica Elena, le loro
giornate in spiaggia, l’amore fedifrago e furtivo, totalizzante e irripetibile
dei due giovani rappresenta il vero momento
di passaggio all’età adulta di tutti i personaggi che popolano la scena del
romanzo. Quell’estate sarà spesso richiamata alla memoria da Elena che perderà
anche la propria verginità proprio con il padre di Nino, in una delle sue
ultime serate sull’isola e trasformerà questo episodio e tutto il suo contorno,
nell'argomento del suo romanzo d’esordio.
La Storia delle scarpe e quella del Nuovo cognome sono anche le sezione dell’epopea di Lila e di Lenù
in cui lo sfondo storico della ricostruzione italiana e del boom economico
riplasma prepotentemente il teatro del rione e lo mostra come parte di una maestosa realtà cittadina.
Napoli sboccia intorno al rione,
comincia a mostrare la sua complessità, talvolta confusa di città del sud. I commerci rifioriscono,
l'imprenditorialità prende corpo anche nei più piccoli commerci. La delinquenza
si insinua in modo surrettizio in questa crescita, la arricchisce e ne rappresenta il lato oscuro e
difficilmente estirpabile.
Non stupisce quindi che il ritmo di
scrittura dei primi due volumi della saga sembri più godibile: la vicenda
risponde infatti a una corrispondenza di sentimenti che ha il sapore
dell’esemplarità, e sviluppa delle immagini narrative ed emotive che saranno
indispensabili alla definizione del carattere delle protagoniste.
Storia
di chi fugge e di chi resta sancisce un inevitabile rallentamento del ritmo narrativo,
lo scorrere tumultuoso dell’adolescenza cede il passo ad un ritmo in cui il
colorito del linguaggio si fa più
sfumato: è l’inesorabile avvento dell’età adulta per le due protagoniste,
sancito dalla loro età anagrafica e dal modo di interfacciarsi con la realtà
che le circonda.
Elena lascia Napoli e si laurea in
Lettere alla Normale di Pisa, scrive un romanzo e un racconto che sortiscono un
discreto successo, si sposa, diventa madre e poi, ritrovando Nino Sarratore,
l’amore idealizzato della sua vita, condiviso suo malgrado con Lila nell’estate
di Ischia, sceglie di mandare all’aria il suo matrimonio per abbandonarsi alla
passione.
Lila, che è diventata madre di un bambino, ha
lasciato il marito intraprendendo una unione di fatto con l’amico d’infanzia Enzo Scanno; è andata
a lavorare in fabbrica e ha cominciato a coltivare lo studio dei sistemi di
calcolo che diventeranno la fonte dei suoi futuri guadagni.
Nel loro susseguirsi gli avvenimenti
non hanno più l’intensità esemplare e rappresentativa di quelli dell’infanzia e
dell’adolescenza, ma si stratificano acquistando profondità.La scrittura si
colora quindi delle sfumature della vita e si fa più lenta come più lento e
ragionato è il ritmo biologico.
Rimane evidente come le vicende
biografiche di Elena e Lina si completino andando a costruire un affresco a
tutto tondo del loro tempo, Ciò che Lina non ha realizzato con la sua immensa e
frustrata intelligenza è stato fatto da Elena, che per lei è appunto “l’amica
geniale”, ma per realizzarsi e per uscire dal proprio guscio Lenù è diventata
estranea al proprio rione, ha perso confidenza con il suo mondo di provenienza;
del resto lei è fuggita da quella realtà in cerca promozione sociale.
Lina, che non ha mai voluto muoversi
dalla sua Napoli, ha conosciuto il
lavoro di fabbrica e la condizione degli operai all’alba della contestazione, e
ha cominciato a padroneggiare il linguaggio dei computatori, fino a diventarne
esperta. Le due donne continuano a cercarsi, pensarsi e completarsi in un continuo fluire di emozioni codificate
nel flusso di pensiero e di scrittura di Elena.
Il ritmo dell’età adulta innerva
anche Storia della bambina perduta.
L’ultimo capitolo della saga racconta la fine del tempo di mezzo delle due
donne, introdotta dal terremoto del novembre del 1980 e sancita dalla nascita
pressochè contemporanea delle loro due figlie, dalla fine dell’amore illuso di
Elena per Nino Sarratore che finalmente mostra la sua autentica natura di uomo
che usa i propri appetiti sessuali per soddisfare le sue esigenze di
arrampicatore sociale, e dalla tragica scomparsa della piccola Tina, la figlia
di Lila. Chiaramente anche la perdita di sua madre costituisce per Elena un
momento di importante passaggio, perchè sancisce la fine della sua condizione
di figlia.
I colori delle vite di di Elena e
Lina si intorbidano, irrimediabilmente intrisi dalla loro maturità di donne e
di madri. Per quasi quindici anni vivranno praticamente di nuovo insieme, in
due appartamenti posti uno sopra l’altro, e in questi quindici anni matureranno
la coscienza che le loro strade sono destinate a dividersi. Così avverrà nel
1995, e da allora il loro diventerà un rapporto a distanza, la figura di Lila
si affievolirà, continuando a soffrire, a coltivare la sua intelligenza
attraverso l’uso del computer e le letture nella Biblioteca Nazionale di
Napoli, a perseguire nella sua ritrovata solitudine il proprio scopo di
dissolvimento.
Punti
di vista
Il
punto di vista della voce narrante coincide con quello di Elena/Lenù; è lei che
racconta la vicenda e in questo gioco analettico sono quindi predominanti i
suoi pensieri e preconcetti e la sua percezione di Lila come alterità
disturbata e disturbante, personalità che innesca la sua competitività e la sua
voglia di riscatto intellettuale e sociale. Il lettore non conosce i pensieri
di Lina, ne osserva la storia, la vede agire e la percepisce con gli occhi di
Elena, che le attribuisce comunque un’aura perturbata e perturbante in qualche
modo avallata dai personaggi del rione.
Ma
Elena è di fatto una scrittrice che sta fissando sulla carta una vita che ha
segnato e plasmato la sua esistenza, in un continuo confronto e scontro tra bios e logos, tra il
violento e inesorabile fluire della vita reale e la sua rielaborazione e
metaforizzazione nella scrittura.
La
voce narrante domina la storia anche nella scelta del linguaggio, che nella
riduzione cinematografica non può che essere quello dialettale della Napoli
popolare e proletaria, ma nei romanzi è l’italiano perfettamente forgiato e
sottomesso alla sua maniera di raccontare, il dialetto è solo raccontato,
ridotto a qualche espressione chiave, ma non diventa linguaggio narrativo, per
una chiara necessità letteraria che è quella del rispetto del punto di vista di
chi racconta e crea.
Lila/Lina
è una figura esemplare e geniale ma è a sua volta plasmata dalla scrittura
dell’amica geniale che in lei vede la parte più istintiva e sanguigna di se
stessa. Elena ha trasformato la vita della sua amica in letteratura, nella
speranza di vedersi ripresa e arricchita dalla sua supposta vena narrativa.
Più
volte nella narrazione Lina minaccia Elena che, se racconterà la loro storia,
si intrufolerà nella sua scrittura per controllarla e modificarla se lo troverà
necessario. Elena scrive che questo controllo non è di fatto avvenuto. Le
pagine, come lei le ha ideate, non sono state modificate da nessun’altra mano.
L’influenza di Lila è quindi tutta interiore, è la percezione che la narratrice
ha di lei a plasmare il suo racconto.
L’alter
ego dell’autrice costituisce la materia viva del suo racconto che, a differenza
di tutti gli altri, essendo epopea di una vita e di tante vie ad essa
intrecciate in un complesso ecosistema letterario e metaletterario, si ammanta
della speranza di essere opera imperitura ed eternatrice.
Il
sistema dei personaggi
Quello
costruito da Elena Ferrante che racconta attraverso la voce di Elena Greco è un
microcosmo di personaggi comuni ed esemplari, i primi tempi del racconto vedono
agire sotto gli occhi delle protagoniste bambine le figure dei genitori e degli
adulti che costituiscono la vecchia guardia del rione e della storia, ma
intanto si delineano i loro rapporti
interpersonali che le seguiranno per tutta la vita. Ci sono la madre oppositiva
e la maestra pigmalione, lo strozzino uomo nero e i suoi deboli antagonisti, il
ferroviere poeta e la vedova pazza, e poi ci sono gli amichetti e i compagni di
scuola, i figli, un po’ più grandi delle “personalità” del rione che mostrano
già le inclinazioni dei loro genitori in un inevitabile ideale dell’ostrica che
non li abbandona.
I
tempi biologici di Elena e Lina corrispondono a quelli dei loro coetanei, che
sbocciano e si definiscono insieme a loro. Realtà e finzione narrativa
interagiscono e si intrecciano, in una sorta di continua interconnessione tra
macrostoria e microstorie.
Con
una chiara ed evidente sproporzione di genere, le ragazze e donne, ad
esclusione di Elena e di Lina rimangono confinate nel loro ruolo di mogli,
madri e amanti, non mostrando alcuna volontà di riscatto sociale, e
adattandosi, talvolta loro malgrado, ad essere figure secondarie che si muovono
all’interno della logica familiare.
I
ragazzi e poi gli uomini acquisiscono invece un marchio sociale ben definito:
Enzo il programmatore, Stefano l’imprenditore fallito, Rino il drogato, Antonio
l’emigrato, Alfonso l’omosessuale, I Solara usurai e camorristi, Pasquale il
terrorista - socialista, Nino Sarratore l’intellettualoide politico.
Ai
personaggi del rione si devono aggiungere quelli che gravitano intorno ad Elena
nel periodo universitario e nella sua vita di fuggitiva dalla realtà
Napoletana: Franco Mari, il compagno di Elena ai tempi dell’Università,
l’intera famiglia Airota, in cui spiccano la suocera Adele e il marito e padre
delle sue due prime figlie Pietro.
Un’evoluzione
nel sistema dei personaggi si compie proprio con la nascita delle figlie di
Elena, in quanto, prima Dede ed Elsa, figlie di Pietro, e poi Imma, nata dalla
sua relazione con Nino, costituiscono delle alterità da educare e da plasmare,
ed Elena, racconta le proprie legittime difficoltà di madre e di donna in
carriera che si interfaccia con loro.
Diversamente
agiscono Gennarino e Tina nel fluire della vita di Lina: Il primo è il figlio
di un’adolescente che diventa sempre più altro da sua madre, Tina è la figlia
fortemente amata e perduta per una disgraziata distrazione, che segna sancisce
la sua definitiva destabilizzazione di donna.
Ricomposizione
(e restituzione)
Nell’epopea
di Lila e Lenù stratificazione letteraria, biografica e metaletteraria si
saldano studiatamente: l’autrice dei romanzi ha lo stesso nome e, secondo gli
scarni dati della sua biografia, è concittadina della sua voce narrante,
tuttavia quella di Elena Ferrante è un’identità fittizia che, agli occhi del
lettore mostra dei punti di intersezione con il personaggio che ha costruito.
Quasi
al termine della sua vicenda Lenù riflette sulla sua opera letterari: è
istigata dai toni canzonatori con i quali le sue figlie, ormai adulte,
rileggono alcune pagine dei suoi romanzi durante una riunione Natalizia di
famiglia. In quell’occasione Elena si accorge della debolezza strutturale delle
sue storie e dell’inconsistenza della sua immagine di scrittrice che di fatto
non ha mai scritto nulla di memorabile,
e viene presa dal timore che,
proprio al crepuscolo delle loro vite, il genio di Lila emerga finalmente
riversandosi in un’opera letteraria unica che le dimostrerà che non è mai stata
capace davvero di scrivere.
Questa
paura è tuttavia esorcizzata nella riscrittura della loro storia: le vicende
narrate da Elena nei suoi romanzi probabilmente non saranno memorabili, pur
essendo state fonte di guadagno per lei, ma la rievocazione della sua vicenda e
di quella di Lila è chiaramente riscrittura di una vicenda memorabile. La
negazione del valore di scrittrice di Elena Greco diventa affermazione del
valore imperituro della sua storia di amicizia con Lila, fissato nella sua
stessa narrazione.
La
ricomposizione della vicenda avviene nel nome dell’infanzia e di Tina, figlia
perduta di Lina e bambola perduta di Elena.
Di
Lina non ci sono più tracce, suo figlio Rino si è rassegnato alla sua
misteriosa sparizione.
Elena,
tornando a Napoli qualche volta, ha potuto constatare che la sua amica ha
davvero cancellato ogni traccia di sè. Intanto in una continua riflessione
metaletteraria la voce narrante annuncia di aver terminato il suo romanzo e in
una mattina come tante le vengono recapitate due bambole che hanno oltre mezzo
secolo. Una è la bambola di Lila, l’altra è la sua Tina; la loro amicizia era
iniziata proprio quando queste bambole sembravano irrimediabilmente perdute,
gettate da Lila negli scantinati di un caseggiato del rione. Il loro
ritrovamento è chiaramente un messaggio, che sancisce la perdita irrimediabile
e volontaria di Lila come personaggio fisico, e la chiusura di un’amicizia intesa
come comunicazione e interconnessione; tuttavia sottende anche un messaggio
positivo: il cerchio narrativo si è ricomposto in nome di quell’amicizia,
conclusa dal punto di vista comunicativo ma non perduta, in quanto è stata
eternata consapevolmente nelle parole
dell’ Amica geniale.
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