2. Dalla saga alla trilogia
A ben vedere sono soprattutto gli ultimi tre episodi
della Saga di Harry Potter a costruire un percorso omogeneo, in cui la storia
fluisce con maggiori interconnessioni. Questo non vuol certamente dire che gli
altri romanzi presentino delle pecche d’integrazione, semplicemente i toni che
li caratterizzano sono diversi.
La Pietra Filosofale e La
Camera dei segreti sono di fatto i romanzi del crepuscolo dell’infanzia di
Harry, anche il confronto che instaura con il Signore Oscuro è indiretto (nel
primo episodio) e mediato dai ricordi adolescenziali di quest’ultimo (nel
secondo episodio). Il prigioniero di
Azkaban è già altra cosa rispetto ai primi due romanzi, non solo per le scoperte compiute da Harry,
ma soprattutto perché in questo episodio il suo contatto con il male si
approfondisce e si complica dolorosamente per
esperienza e agnizione: la scoperta dei Dissennatori è certamente una
svolta in tal senso, ma anche quella del ruolo di Crosta/Codaliscia sortisce la
sua importanza per il seguito della vicenda.
Il
calice di fuoco segna, come abbiamo già avuto modo di accennare, un
punto di svolta molto importante in quanto rappresenta il romanzo della
reincarnazione del male, ovvero del Signore Oscuro; dal punto di vista
narrativo è questo l’episodio che attesta un cambiamento forte all’interno
della saga, perché il male acquista delle sembianze e un volto definito benchè
indefinibile, sebbene sia appunto con L’Ordine della Fenice che si definiscono i ruoli, si innestano
collegamenti forti tra bene e male, che non sono solo connessioni oppositive:
la vicenda è pronta a mostrare i suoi sviluppi conclusivi.
Il segno che L’Ordine della Fenice, Il Principe
Mezzosangue, e I Doni della Morte, sono di fatto associabili in una sorta di
trilogia della seconda adolescenza di Harry, ci è dato anche dai cambiamenti
che si percepiscono nella figura di Severus Piton, personaggio controverso,
all’interno della saga, che soprattutto nei primi tre romanzi è una figura
diametralmente opposta a quella di James Potter, al quale, tuttavia, a detta di
Silente e come si scoprirà nel diciottesimo capitolo del Prigioniero di Azkaban, deve
la vita. Non si intuiscono ancora i risvolti sentimentali che caratterizzeranno
l’ultimo episodio della saga, ma già nell’Ordine
della Fenice, la Rowling tratteggia un Piton adolescente, bizzarro, timido
e infelice, e accenna appena al suo legame con Lily, la madre di Harry.
Il
Principe Mezzosangue non è il romanzo di Piton, sebbene questo epiteto gli
appartenga, e benché sia lui l’apparente trionfatore nel male della vicenda
narrata.
Questo è di fatto il vero romanzo di Lord Voldemort,
la cui vita viene passata al setaccio attraverso i ricordi conservati da
Silente e riproposti ad Harry nel suo pensatoio. La sua famiglia, l’infanzia
dolorosa, il fascino delle arti oscure, il suo bisogno di vincere la morte,
sono raccontati in queste pagine che culminano nella ricerca degli Horcrux,
oggetti (e soggetti) contenenti pezzi di un’anima fatta a brandelli, dilaniata
da sette omicidi, e che l’hanno resa apparentemente immortale, oggettivandola e
simbolizzandola di fatto in un piccolo insieme di sinistre morti viventi: Il
diario di Tom Riddle, l’anello di famiglia dei Gaunt, il medaglione di
Serpeverde, la coppa di Tassofrasso, il diadema di Corvonero, il serpente
Nagini e lo stesso Harry sono degli Horcrux, sinistramente significativi anche
a livello affettivo per Voldemort.
È nel Principe Mezzosangue che Harry apprende
dalle parole di Silente della distruzione più o meno consapevole dei primi due
(il diario di Riddle è stato distrutto già nel secondo episodio, e proprio
Silente ha annullato i poteri dell’anello dei Gaunt, con conseguenze mortifere)
e comincia insieme al Preside ormai agonizzante la ricerca ragionata degli
altri, rimanendo tuttavia all’oscuro, fino alla fine che l’ultimo Horcrux da
distruggere è lui stesso.
Il Principe
Mezzosangue è quindi l’episodio della saga in cui il passato di Tom
Riddle/Lord Voldemort, riemerge nella sua straziante e dolorosa verità, ma è
anche il romanzo in cui si conclude la vita mortale di Albus Silente, aprendo
tanti interrogativi sulla sua persona che saranno risolti solo ne I
doni della Morte.
L’episodio conclusivo della saga appartiene infatti a
Silente, istituendo una sorta di opposizione binaria con il Principe Mezzosangue.
In esso gli interrogativi di Harry sul passato di
questo grandissimo mago trovano man mano risposta, il ritratto che emerge è di
fatto quello di un regista che ha mosso sapientemente le sue pedine per
raggiungere un ineffabile quanto indispensabile bene superiore. Un concetto difficile da interiorizzare
per gli altri protagonisti della vicenda, al punto da farlo passare per un mostro agli occhi del fedelissimo
Piton, quando l’uomo scopre qual è il destino di Harry.
Di Silente rimarrà sempre l’impressione che non sia
stato detto tutto, se Voldemort è la perfetta esplicitazione del male nato dal
dolore della mancanza di una qualsiasi forma di amore e dall’abbandono, Albus è
una figura perfetta nelle sue ombre, ha accarezzato il lato oscuro della magia
nella sua adolescenziale amicizia innamorata con Gellert Grindelwald, si è
comportato da egoista nei confronti dei suoi affetti familiari chiudendosi ai
bisogni della sorella Ariana affidata alle cure del fratello Abelfort, e
vivendo la sua avventura adolescenziale con quello che sarebbe diventato il suo
primo grande nemico dopo essere stato il suo più grande amico, alla ricerca dei
Doni della Morte.
Eppure, a ben vedere, proprio la disavventura della
sorella Ariana, molestata e rovinata per sempre da tre ragazzi babbani mentre
da bambina si cimentava in una innocente magia, e quella del padre di Silente,
rinchiuso ad Azkaban dopo essersi vendicato per aver aggredito gli aggressori
di sua figlia, rappresentano il motore
che attiva la ricerca di un bene superiore che non può passare per l’odio e per
la vendetta, né tantomeno per il potere rappresentato dalla purezza del sangue
o dai mitici Doni della Morte che permetterebbero al loro possessore di
dominarla.
Harry comprende l’ineffabile necessità di questo bene
e la scaraventa davanti ad Abelforth,
ancora turbato e arrabbiato per le scelte compiute dal fratello maggiore
mentre rievoca la dolorosa fine di Ariana:
-Scoppiò una lite...io presi la mia bacchetta e lui
la sua, e il migliore amico di mio fratello mi inflisse la maledizione
Cruciatus...Albus cerco di fermarlo e ci ritrovammo tutti e tre a lottare, e i
lampi e le esplosioni la facevano impazzire, non riusciva a sopportarlo...-
Il volto di Abelforth impallidì come se avesse subito
una ferita mortale.
-...io non credo che volesse aiutarmi, ma non sapeva
quello che faceva: non si chi di noi sia stato, potrebbe essere stato
chiunque...e morì-.
La voce gli si spezzò sull’ultima parola e poi si
lasciò cadere sulla sedia più vicina
[...]
-Naturalmente Grindelwald tagliò la corda. Aveva già
collezionato una bella lista di malefatte nel suo paese e non voleva che anche
Ariana fosse messa sul suo conto. E così Albus era libero. Libero dal fardello
della sorella, libero di diventare il
più grande mago del...-
-Non è mai stato libero- lo interruppe Harry.
-Come?- Chiese Abelforth.
-Mai- ripetè Harry. “La notte che morì suo fratello
aveva bevuto una pozione che lo fece uscire di senno, Urlava, supplicava
qualcuno che non c’era. -Non far del
male a loro, ti prego...fai male a me, invece-. [...]
-Credeva di essere di nuovo con lei e Grindelwald, lo
so- continuò Harry, ricordando il piagnucolio e le suppliche di Silente. ”- Vedeva
Grindelwald che faceva del male a lei e ad Ariana...era una tortura per lui: se
l’avesse visto allora, non direbbe che era libero-.
Abelforth sembrava smarrito nella contemplazione
delle proprie mani nodose e coperte di vene. Dopo una lunga pausa domandò: -
Come fai, Potter, a essere sicuro che
mio fratello non fosse più interessato al bene superiore che a te? come fai a
essere sicuro di non essere superfluo, come la mia sorellina?-
Una scheggia di ghiaccio perforò il cuore di Harry.
-Non ci credo. Silente voleva bene a Harry-
intervenne Hermione.
-Perchè non gli ha detto di nascondersi, allora?- Ribattè
Abelforth. ” Perchè non gli ha detto: -Pensa a te stesso, è così che si
sopravvive?-
-Perchè- rispose Harry, prima che potesse farlo
Hermione, -a volte
bisogna pensare
a qualcosa di più della propria salvezza!
a volte
bisogna pensare al bene superiore! Questa è una
guerra!-
Nel suo ultimo colloquio disincarnato con Harry, che
avviene in un non-luogo spirituale simile alla stazione della metropolitana
di King’s cross, Silente riconosce di
essere stato un debole nella sua adolescenza e nell’età adulta, tuttavia ha
lottato perché trionfassero la giustizia e quella forma di bene scevra da ogni
egoismo, onnicomprensiva, affatto priva di spirito di sacrificio, una forma di
bene figlia dell’amore inteso come greca agàpe. I Doni della Morte, e in
particolare la Pietra della Risurrezione, estremi desiderata di un
Silente che non ha mai superato pienamente le sue debolezze di uomo, ma è
riuscito a dominarle nello stesso modo in cui ha dominato la Bacchetta di
Sambuco, assurgono a simbolo di una battaglia conclusa nella vita vera e piena,
consacrata all’amore e vinta dal giovane Harry:
- Lei ha provato a usare la Pietra della Resurrezione-.
Silente annuì.
Quando la trovai, dopo tutti quegli anni, sepolta
nella dimora abbandonata dei Gaunt, il Dono che più avevo bramato - anche se in
gioventù l’avevo desiderato per tutt’altre ragioni -persi la testa, Harry.
Quasi dimenticai che era diventata un Horcrux, che l’anello certamente
conteneva una maledizione. Lo presi e me
lo infilai e per un attimo immaginai che avrei visto Ariana, mia madre, mio
padre, e che avrei detto loro quanto mi dispiaceva...
- Fui uno sciocco, Harry. Dopo tutti quegli anni, non
avevo imparato nulla. Ero indegno di riunire i Doni della Morte, l’avevo
dimostrato più e più volte, e questa era la conferma.-
- Perchè?- Chiese Harry. - Era naturale! Voleva
rivederli. Che cosa ha sbagliato?-
- Forse un uomo su un milione potrebbe riunire i
Doni, Harry. Io sono stato capace solo di possedere il più crudele, il meno
straordinario. Sono stato in grado di possedere la Bacchetta e di non
vantarmene e non usarla per uccidere. Mi è stato concesso di dominarla e
usarla, perchè l’avevo presa non per mio tornaconto, ma per salvare altri da
lei.
- Ma il Mantello l’ho preso solo per futile
curiosirtà, e quindi non avrebbe mai potuto funzionare per me come per te che
ne sei il legittimo proprietario. Avrei usato la Pietra per richiamare indietro
coloro che sono in pace, invece che per consentire il saacrificio di me stesso,
come hai fatto tu. Tu sei il degno possessore dei Doni-.
Silente battè sulla mano di Harry, che alzò lo
sguardo sul vecchio e sorrise; non riuscì a trattenersi. Come faceva ad essere
ancora arrabbiato con lui?
- Temo di aver sperato che la signorina Granger ti
frenasse, Harry. Avevo paura che la tua testa calda avesse la meglio sul tuo
buon cuore, che se tu avessi saputo tutto fin da subito su quegli oggetti
tentatori avresti potuto gettarti sui
Doni come feci io, al momento sbagliato, per le ragioni sbagliate. Se dovevi
metterci le mani sopra, volevo che li prendessi senza rischi. Tu sei il vero
padrone della morte, perchè il vero padrone non cerca dei sfuggirle. Accetta di
dover morire e comprende che vi sono cose assai peggiori nel modo dei vivi che
morire-.
La complessa vicenda biografica ed emotiva di Silente
trova quindi il suo pieno compimento nel martirio di Harry che assurge a figura
larvatamente cristologica, pronta al sacrificio per un bene superiore e vera
dominatrice della Morte.
Ma anche il coraggioso martirio del professor Piton,
che è vissuto e morto nascondendo la
parte migliore di sè e proteggendo Harry in nome dell'amore imperituro per sua
madre Lily, è un'altra testimonianza dell'esistenza di quel bene superiore, la
cui percezione permette di oltrepassare
anche la paura della morte.
I
doni della morte, è senz’altro il romanzo più complesso dell’intera
saga di Harry Potter, anche per i suoi
larvati riferimenti alla storia contemporanea: la plumbea atmosfera di guerra
che si distende tra le pagine culmina nei chiari riferimenti alla Shoah,
soprattutto quando si fa cenno alla delibera del Ministero della magia,
controllato da Voldemort, di tenere sotto controllo la popolazione magica fin
dalla giovane età, alla ricerca di un’inaudita purezza del sangue magico.
La figura del
mago oscuro, nato Mezzosangue, si associa automaticamente e geneticamente a quella di Hitler,
persecutore degli ebrei che tuttavia aveva origini ebraiche, in un interessante
connubio tra realtà storica e fantasia.
Abbiamo già avuto modo di accennare che Voldemort,
cercando di interpretare la profezia sulla sua possibile sconfitta “ha scelto”
di segnare come suo pari “il ragazzo che a suo parere aveva più probabilità di
costituire un pericolo”: il mezzosangue Harry, preferendolo al purosangue
Neville Longbottom; eppure, sarà proprio Neville ad annientare l’ultimo
Horcrux, il serpente Nagini, annullando definitivamente l’immortalità del Signore Oscuro e offrendolo
ad Harry ormai privo di difese.
La profezia quindi si rivela sibillina, perché
attribuisce ad entrambi i giovani un ruolo fondamentale per la definitiva
distruzione di Voldemort.
3. Una
Conclusione (?)
Concludere la lettura della saga di Harry e dei suoi
amici produce una necessaria malinconia: è difficile lasciarli andare, lo è
ancor di più quando si è continuamente bombardati dalla versione
cinematografica delle loro avventure, e dalle peregrine dichiarazioni della
Rowling, che probabilmente afflitta
dalla “sindrome di Torquato Tasso” ha
affermato che dovrebbe riscrivere il romanzo, facendo sposare Harry con
Hermione, e distruggendo, a mio parere, il perfetto equilibrio di relazioni e
sentimenti che è riuscita a edificare e che consente ad Harry, Hermione e Ron di costruire un legame
d’affetto più solido e articolato, all’interno della famiglia Weasley.
Tuttavia la rivelazione più interessante è stata
senza dubbio quella in merito all’omosessualità di Silente, la quale è tuttavia difficilmente percepibile nella
sua relazione adolescenziale con Grindelwall.
Queste annotazioni al margine del mio innocente
esercizio di scrittura testimoniano come neanche la Rowling sia in grado si
lasciare andare la storia che ha costruito, certamente anche per un tornaconto
personale quale quello di mantenere alto l’interesse dei giovani lettori
intorno alla sua opera.
Ben venga una riscrittura dei romanzi, si chiariscano
i rapporti fra i personaggi, ma rimanga chiaro che tutti questi tentativi sono
altra cosa rispetto a quello che è la saga di Harry Potter quale è uscita dalla
prima penna della Rowling; una saga che vive ormai di una vita propria e non
può ricevere degli aggiustamenti o dei chiarimenti esterni, perché non le appartengono,
come non appartengono più all’autrice le parole uscite dalle sue mani: Harry
Potter appartiene ai lettori, che non possono fare a meno di riconoscere il
fascino senza tempo di questa storia, consacrandola all’altare dei classici e
sentendo una profonda malinconia dopo aver passato quasi un anno in sua
compagnia (e quasi un decennio insieme ai suoi film).
Ciao Harry! Fortunatamente nulla mi vieta di
ritornare a mettere il naso tra le pagine della tua avventura...
...Del resto la tua straordinaria vicenda è anche mia...