C’era
una volta…
Potrei
iniziare il mio breve racconto in questa maniera, dandogli così il tono di una
fiaba, ma preferisco lasciargli il colore della scrittura diaristica con il
quale è nato…in modo tale che le mie parole mantengano e trasmettano il sapore
di un’emozione subitanea e profonda, che ancora m’accompagna, e che non credo
mi potrà lasciare, ripensando ai momenti che mi accingo a narrare.
Tutto avvenne a Trieste, in una “via secreta”, il 29 settembre 2010.
Mi
considero una persona fisiologicamente timida, di quelle che ammutoliscono in
mezzo alla gente e che ha bisogno di un input esterno per cominciare una
conversazione, proprio per questo ho chiesto e richiesto al mio dolce compagno
di vita di accompagnarmi nel “nero antro funesto” che si apre in Via san Nicolò
30, a Trieste; mi riferisco alla libreria antiquaria che fu per oltre
trent’anni di Umberto Saba, che ancora oggi porta il suo nome, ed è gestita da
Mario Cerne il figlio del “buon Carletto”, il commesso, ed in seguito
comproprietario della libreria, reso celebre dalla parola poetica di Saba.
Samuel
mi ha fatto capire in tutte le maniere possibili che si sarebbe sentito a
disagio, e che sarebbe stato più giusto e gratificante per me se in quella
libreria ci fossi entrata da sola, lui mi avrebbe aspettato pazientemente
fuori.
Alle
17,30, o poco più tardi, la mia mano si posa risoluta quanto basta sulla
maniglia bronzea, resa opaca dal tempo e
dai tanti avventori e curiosi che hanno varcato quella porta a vetri che si
socchiude senza emettere alcun rumore. Ed eccomi, risucchiata dall’antro.
I
miei piedi si posano con circospezione sul parquet scuro e consumato,
posizionato a spina di pesce, che scricchiola in maniera piacevole, con un
rumore stranamente rassicurante, di cose familiari.
Mi
investe un odore pungente di carta invecchiata ed asciutta, vedo alla mia
destra una riproduzione del ritratto che Vittorio Bolaffio fece a Saba, accanto
c’è un’immagine del buon Carletto, insieme a quella scala altissima che serve
ad arrampicarsi sugli scaffali più impervi della libreria, e che io ho già
visto in qualche foto, forse proprio con Carletto arrampicato.
E
poi, arriva il signor Mario Cerne, che mi accoglie quasi come un custode
rassegnato quando scopre che sono l’ennesima studiosa-curiosa del vecchio Saba.
Comincia
a sciorinare una serie di nomi di studiosi, ai quali potrei rivolgermi per
avere qualche consiglio accademico, mi parla di un certo professor Bonura, siciliano anche lui, come
me. Capisco subito che il signor Cerne è una persona che ama parlare, e questo
mi mette a mio agio; il buon antiquario - custode si incuriosisce con una certa discrezione quando
gli comunico che io mi sto occupando principalmente delle prose di Umberto
Saba. Cala improvvisamente un breve
silenzio pensoso nella libreria, interrotto da un nuovo fiume di parole.
-A
Trieste - mi dice il signor Cerne – non
c’è molto interesse per Saba, è un
autore inspiegabilmente trascurato…-.
Io
penso tra me e me “nemo propheta in patria est”, e non posso far altro che
annuire stupita; subito dopo fruga in una pila di libri e ne tira fuori un Canzoniere tradotto in giapponese, me lo mostra divertito
dicendomi: - Vede un po’ ? Ma certo lei questo non lo sta studiando -.
Il
signor Cerne coinvolge anche un suo amico-aiutante nella conversazione; è un
professore, che si interessa di Ugo Foscolo; la conversazione a questo punto si
fa più animata e dettagliata: parliamo di Linuccia, la figlia di Saba, e le
parole del libraio e del suo amico non sono certo tra le più affettuose…
diciamo che non traggo affatto un ritratto edificante di questa donna che ha
vissuto poco serenamente a fianco ed all’ombra di personalità letterarie di
spessore considerevole quali suo padre ed il suo compagno Carlo Levi.
Mi
viene raccontato della pubblicazione di Ernesto,
ridotta ad una squallida operazione commerciale che coincise d'altronde, e non
per caso, con la vicenda della morte di Pier Paolo Pasolini.
Il
Signor Cerne ricorda che suo padre si stava beccando una querela da parte di Linuccia
per la reazione indignata ed umanissima che ebbe dopo aver letto sui giornali le
anticipazioni delle parti più scabrose
del romanzo. Suo padre a Saba voleva bene come un figlio, ed aveva vissuto
questa pubblicazione come una vera e propria profanazione nei confronti della
memoria del poeta triestino, per questo motivo la sua reazione, che ebbe la
sventura di essere registrata da un giornalista, era stata più che
giustificabile, benché offensiva nei confronti di Linuccia!
Forse
è vero quello che mi dicono questi due signori-custodi delle memorie della
libreria antiquaria di via San Nicolò: Qui c’è il suo fantasma, melanconico e
silenzioso, aleggia tra gli scaffali, zeppi di libri antichi, ed è molto
curioso di sapere cosa sta combinando questa studiosa (una donna, che strano
destino! E a vederla così, con jeans e giacchetta di pelle si direbbe ancora
molto giovane, ma l’apparenza inganna) che si dedica a lui da ormai più di
cinque anni…
Io
mi sento un po’ brilla, senza aver bevuto un goccio di vino, ma soprattutto mi
sento “a casa”, perché in questo luogo, che vuol essere una libreria, ma è
anche un sacrario, mi capiscono, parlano la mia stessa lingua, conoscono
l’opera di Umberto Saba nei minimi particolari, e si accorgono che la conosco
anch’io!
Parlare
con la Grignani? Con il professor Guagnini? da lui ci andrò tra qualche giorno…
Ma
soprattutto lavorare con la mia testa, le mura di questa Libreria sembrano suggerirmi questo.
Penso
al mio piccolo progetto di scrittura in cui vorrei confrontare le Scorciatoie sabiane e i Pensieri leopardiani, e, quasi fosse la domanda più naturale del
mondo, e quasi la stessi ponendo proprio a Saba in persona domando: - Quale
edizione delle opere leopardiane si è trovato tra le mani?- Mi viene risposto senza indugi che si trattava
dell’edizione Le Monnier. Lo avevo intuito…
Intanto
si sussegue un viavai di tre o quattro persone: amici, avventori,
intellettuali, e il mio povero e un po’ scocciato Samuel mi aspetta fuori,
ignorando purtroppo che io mi trovo dentro un’altra dimensione, in cui il tempo
si è dilatato in una strana forma di empatia tra la mia anima e l’atmosfera che
sto respirando e che mi sta annusando.
Sono
insieme a “lui”, è il suo fantasma che sta interagendo con me e non ha la
minima intenzione di lasciarmi andar via.
Arriva
Stelio Vinci, l’autore di un grazioso libro che ho avuto il piacere di leggere
qualche mese fa: La libreria del poeta,
un saggio, ma anche e soprattutto un toccante ritratto di questo luogo magico,
in cui mi trovo in questo momento: ci presentiamo, e si mostra parecchio
incuriosito dal mio ambito di studio, trova che io stia lavorando in maniera
originale, mi lascia il suo indirizzo email per rimanere in contatto e mi dice
che anche a lui piacerebbe molto poter leggere le 2500 lettere che Saba
scrisse, ma che purtroppo non c’è nulla da fare, e andare al Fondo Manoscritti
di Pavia serve a ben poco.
Mi
mostra due cataloghi della libreria antiquaria, due volumetti molto eleganti,
li sfogliamo velocemente insieme e mi fa notare che i fogli sono contrassegnati
a matita proprio da Saba, ma che, almeno stavolta, non c’è alcun appunto che
possa essere utile. Io gli dico che domani mattina dovrei visionare qualche
letterina sabiana alla biblioteca Hortis.
Intanto
squilla il telefono e arriva un sms, è difficile far capire agli altri perché
non do loro retta, per il momento.
Ciò
che più mi addolora, la nota stonata, è che Samuel sia fuori ad aspettarmi,
invece di essere qui con me. È passata più di un’ora e credo che l’sms fosse
suo. Deve essere seccatissimo, ha pensato di fare il mio bene rimanendo in
disparte ad aspettarmi, per farmi vivere
così in maniera più intima una delle più importanti esperienze del mio percorso
di studiosa, almeno dal punto di vista emotivo. Eppure, nel mio profondo io
desideravo condividere con lui il turbine di emozioni che mi ha investito. Capisco
il suo punto di vista, ma lui non ha capito me… tuttavia, forse ha fatto bene,
o forse no… Non pontifichiamo! In fin dei conti i gesti d’amore non si
giudicano…
Si
scoprono tutti mezzi siciliani lì dentro, e io mi scopro un po’ giuliana, forse
anche per i trascorsi dell’infanzia di mio padre…
Ma
cosa sono infine queste pagine? Vorrebbero essere un racconto, ma a pensarci
bene non saprei come definirle; certamente rispondono all’esigenza di fissare
sulla carta un grumo di emozioni arruffate, che traspare a malapena dalle due
foto (mosse) che ho scattato a questa “strana bottega d’antiquario”. Ho voluto
tratteggiare con le parole un’ora di sympatheia,
di autentica “corrispondenza d’amorosi sensi”…
Tornerò
nell’antro, nei prossimi giorni. Ho promesso al signor Cerne, nobile custode di
una grande memoria, che non sarei fuggita senza lasciar traccia, e io mantengo
sempre la mia parola…
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